La tragica vicenda del pensionato di Manduria deceduto a causa delle aggressioni e delle violenze di una baby gang hanno sconcertato l’Italia, ma in modo particolare i familiari di Angelo Partenza, che hanno rivissuto l’incubo di due anni fa. Il caso del 64enne di Modica, presenta infatti moltissime affinità con quello che ha riempito le pagine dei giornali in questi giorni.
Anche Partenza era stato preso di mira da un gruppo di “ragazzi” di 15 e 16 anni che abitavano nel suo quartiere e non perdevano occasione per infastidirlo; anche lui è stato picchiato senza pietà, anche lui per quei calci e pugni è morto. L’hanno trovato senza vita in casa il 3 febbraio 2017, ma prima che il grave ematoma riportato al capo gli fosse fatale, aveva fatto in tempo a recarsi al pronto soccorso del locale ospedale e poi a denunciare i fatti occorsi il precedente 19 gennaio 2017 alla locale stazione dei carabinieri. Messa al corrente dei fatti e identificati i giovani coinvolti, la Procura di Ragusa ha quindi iscritto nel registro degli indagati il 15enne vicino di casa della vittima e l’amico 16enne principale responsabile del pestaggio e trasmesso il fascicolo al competente Tribunale dei Minorenni di Catania.
Qui il Pm, dott.ssa Silvia Vassallo, ha disposto l’esame autoptico sulla salma, incaricando il medico legale dott. Giuseppe Iuvara. Il quale ha stabilito che Angelo Partenza è deceduto per “un arresto cardio-respiratorio realizzatosi per compressione (meccanica) dei centri cardio-respiratori del tronco encefalico, nella notte tra l’1 e 2 febbraio 2017, che la compressione si è clinicamente determinata a causa dell’espansione di un voluminoso ematoma subdurale” e che quest’ultimo era “in nesso causale con le lesioni riportate il 19 gennaio 2017”. A seguito di tali conclusioni, la dott.ssa Vassallo ha chiesto il rinvio a giudizio dei due imputati, il più grande dei quali, G. A. L., nel frattempo è diventato maggiorenne, mentre l’altro, ha compiuto ora 17 anni, con l’accusa di omicidio preterintenzionale in concorso, e l’aggravante “di aver profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”.
All’udienza preliminare, nel giugno 2018 al tribunale dei minori catanese, i legali dei due imputati hanno chiesto il rito abbreviato e nella successiva udienza del 5 dicembre, in cui si doveva decidere sul rito alternativo, hanno “rilanciato” con l’ulteriore richiesta dell’istituto della Messa Alla Prova. All’udienza del 15 maggio si deciderà se accordare la Map, con conseguente sospensione del procedimento, o se continuare il processo. “Le somiglianze della tragedia di Manduria con quella di mio fratello sono tantissime, e se questa vicenda ha destato così tanto sconcerto per la sua gravità, altrettanta indignazione mi auguro che ne susciti, soprattutto tra i giudici, la sorte di Angelo” spiega la sorella.
A Manduria i minorenni sono finiti in carcere, qui non hanno fatto un giorno dietro le sbarre e c’è il rischio che non lo faranno mai. “Siamo fermamente contrari alla messa alla prova di questi ragazzi – prosegue la sorella Giuseppina – Non è che si chieda l’ergastolo, comprendiamo che a monte ci sono tante responsabilità delle famiglie, ma non è ammissibile che non ricevano nessun castigo per il male che hanno fatto, che la passino liscia: hanno ucciso un uomo! Chiediamo un segnale forte da parte della giustizia. D’altra parte, la loro messa alla prova l’hanno già avuta, sono già stati seguiti da diverse “agenzie”, a cominciare dalla scuola”.