Le piramidi millenarie dell’Etna, patrimonio dell’umanità, rischiano di essere cancellate dalla storia. Appello di Free Green Sicilia – SOS Beni Culturali, che ha chiesto agli organi preposti regionali, Presidente, Assessore ai Beni Culturali, Sovrintendenza di Catania, di salvaguardarle dalla speculazione edilizia e dalla complicità dei Comuni etnei di appartenenza che negano la loro esistenza.
La conoscenza della loro presenza è un fatto conclamato da decenni ma, purtroppo, le piramidi a gradoni di pietra lavica dell’Etna sono state studiate e indagate recentemente solo dall’esperta archeologa ed egittologa francese Antoine Gigal e dalla sua équipe, individuandone nella sola Valle dell’Alcántara una trentina di diverse dimensioni dello stesso periodo. Secondo tali studi tali piramidi risalirebbero a più di duemila anni addietro ed edificate da una tribù originaria della Sicilia orientale, chiamata Shekelesh, vissuta mille anni prima di Cristo, o dai Siculi (III sec. a. C.), altro popolo indigeno della Sicilia orientale, che avrebbero edificato tali piramidi come veri templi sacri dedicati alle loro divinità.
Le piramidi rimaste in vita rischiano di fare la stessa fine delle due che erano presenti fino ad un anno addietro in un’area, ora in via di cementificazione, tra S. Agata li Battiati e S. G. La Punta, così come un’altra in territorio di Mascalucia che rischia di fare la stessa fine visto che il piano regolatore della cittadina non la individua. Di queste abbiamo segnalato inutilmente la presenza con richiesta di salvaguardia agli organi regionali e comunali, tra questi Assessore regionale e Sovrintendenza ai Beni Culturali di Catania, i quali forse pensano che si tratterebbe solamente di un ammasso di pietre, come di un muretto a secco alto un metro e mezzo, quando esse sono vere opere ingegneristiche costruite a gradoni con scale alte oltre 10 metri e larghe fino trenta metri, forma tipica di templi piramidali come quelli presenti in Messico e in Perù, ma anche molto più vicino nelle isole Canarie ed in Bretagna, tutte protette dalle rispettive nazioni da decenni.
A prescindere dai risultati degli archeologi francesi l’associazione annuncia che continuerà a chiedere formalmente al Presidente della Regione, agli Assessori ai Beni Culturali e al Territorio, alla Sovrintendenza di Catania, al Presidente del Parco dell’Etna ma anche all’Unesco di mettere in essere ogni dovuta ed urgente iniziativa affinchè tali manufatti siano salvaguardati con un decreto regionale di vincolo di tutela e conservazione in quanto patrimonio culturale nazionale e mondiale.