Si rischia la desertificazione commerciale, analisi della Confcommercio di Ragusa. Vetrine sempre più spente nei centri storici, mentre aumentano hotel, bar e ristoranti. Lo rivela l’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio realizzata su 120 città, comprese quelle del Ragusano. Le cause: scarsa redditività e competizione con e-commerce, centri commerciali, parchi e outlet.
Il rischio serio che emerge è la desertificazione commerciale: ogni saracinesca abbassata è un impoverimento del tessuto economico e un indebolimento per le nostre città. “Il crescente fenomeno dei negozi sfitti nelle nostre città, ancor più evidente nei centri storici – sottolinea il presidente provinciale Confcommercio Ragusa, Gianluca Manenti – è dovuto a cause diverse quali, ad esempio, la modifica del comportamento di acquisto, la mancata corrispondenza tra l’offerta commerciale e la mutata domanda del consumatore, problemi di vivibilità, accessibilità e declino urbano. Negozi di vicinato, pubblici esercizi, attività turistiche e servizi svolgono un ruolo economico e soprattutto sociale, generando relazioni di prossimità tra persone, spazi fisici ed economie locali. La previsione di estendere al 100% dei nostri centri storici le Ztl avrà un effetto devastante.
I centri storici e le città devono essere i luoghi del futuro, accessibili, con una capacità attrattiva determinata da due beni sempre più preziosi: lavoro e qualità della vita. Ma quanto spende un’attività commerciale all’anno per ‘costi fissi’? La Confcommercio della provincia di Ragusa ha simulato, conti alla mano, i costi fissi di un’attività commerciale di media metratura, in centro storico. “Precisiamo subito – aggiunge Manenti – che quelli elencati sono costi fissi medi annui, nel senso che i dati sono frutto di un’elaborazione che riguardano più attività, appunto una media annua. Inoltre, tali costi sono gli stessi (escluso naturalmente il costo dell’affitto) sia che l’attività si trovi nel centro storico di Ragusa oppure di Modica o di Vittoria”. Intanto, il peso maggiore riguarda ovviamente l’affitto del locale, circa 25.000 euro all’anno; tra i costi più elevati c’è l’energia per circa 2.000 euro, telefono per 1.200 euro e il gas per 1.500 euro.
Per il consumo di acqua la spesa media è di 130 euro all’anno, quasi cinque volte per i rifiuti (600 euro): poi c’è il costo dell’insegna, difficilmente quantificabile, perché si paga oltre i 5 metri quadrati. Aggiungiamo il costo della sicurezza (circa 600 euro), Inail 318 euro (ogni socio paga 159 euro) e diritti camerali, altri 120 euro, e 150 euro per gli addobbi in occasione delle feste natalizie, e il totale arriva a 32mila 965 euro. “A questa cifra – spiega ancora Manenti – va poi aggiunto il costo della pubblicità, che non quantifichiamo perché ogni attività può investire o meno per far promozione ai propri prodotti, e qui non ci addentriamo sulla materia, anche se per una campagna pubblicitaria cittadina occorre investire non meno di 2 mila euro. Se poi aggiungiamo il costo del personale, la cifra aumenta: il costo annuo al datore di lavoro (per 40 ore alla settimana) di una commessa ‘ordinaria’ al 4° livello è di 31.000,00 euro; mentre una commessa ‘specializzata’, 3° livello, costa 35.600,00 euro annui”.