"Il sisma di dicembre potrebbe aver esaurito energia" a dirlo è un nuovo studio realizzato dall’INGV. Lo sciame sismico che ha accompagnato per giorni l’ultima eruzione dell’Etna, quella verificatasi lo scorso 24 dicembre 2018, potrebbe aver rallentato la risalita del magma, accumulato in una sorgente a circa 5 km di profondità, limitando l’entità dell’eruzione stessa.
L’ipotesi è stata fatta dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia Alessandro Bonforte, Francesco Guglielmino e Giuseppe Puglisi. “L’eruzione dell’Etna della vigilia di Natale ha fatto registrare un’intensa attività sismica che ha preceduto e accompagnato l’evento per giorni, anche dopo la fine dell’attività eruttiva”. L’attività sismica, che ha accompagnato l’eruzione, ha attivato tutte le faglie che interessano i fianchi del vulcano, con migliaia di terremoti registrati non solo in area sommitale ma anche lungo le faglie di Ragalna, della Pernicana e di Trecastagni. L’evento di maggiore entità, di magnitudo 4.9, si è verificato il 26 dicembre.
I dati forniti dalle immagini satellitari, hanno consentito di misurare la deformazione del suolo tra il 22 e il 28 dicembre, con il vulcano diviso in due lobi aventi movimento opposto. La deformazione è stata causata da un’importante risalita di magma dal profondo e ha favorito una frattura radiale rispetto ai crateri sommitali che ha invece drenato del magma già residente. L’eruzione osservata in superficie sarebbe stata solamente un “effetto collaterale”, rispetto a quella che si stava preparando. L’ipotesi avanzata dallo studio è che a bloccare la risalita del magma dalle profondità sia stata proprio la grande energia dissipata nello sciame sismico.