Tre italiani su dieci non credono di godere di buona salute: una quota che sale al 43% fra le persone con molte difficoltà economiche e scende al 23% fra le persone senza tali difficoltà. E’ quanto si legge sul sito dell’Istituto Suoperiore di Sanità.
E’ questa la fotografia scattata dalla Sorveglianza PASSI (Progressi per le Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) nel quadriennio 2015-2018, coordinata dall’ISS per le Regioni: nella salute percepita, nel benessere psicologico e nella qualità di vita, come pure nell’accesso alla prevenzione per la diagnosi precoce dei tumori e nell’adesione a misure di sicurezza per la prevenzione degli incidenti stradali, c’è sempre un chiaro gradiente a sfavore delle persone socialmente più vulnerabili per difficoltà economiche o per bassa istruzione (senza titolo di studio o al più con licenza elementare). A ciò si aggiungono le differenze territoriali e il gap Nord-Sud è sempre significativo a sfavore del Sud, dove è più alta la prevalenza di fumatori, sedentari, obesi, diabetici, ipertesi e persone che, in generale, non adottano stili di vita salutari.
“I dati della Sorveglianza PASSI aggiornati al 2018 – afferma Maria Masocco, responsabile presso l’ISS del coordinamento nazionale PASSI – confermano e mettono ancora una volta in evidenza significative differenze sociali nella salute e nell’accesso alla prevenzione che si aggiungono alle differenze geografiche a svantaggio delle regioni del Sud e delle Isole, dove povertà e carenza nell’offerta di programmi di prevenzione e di servizi cura si concentrano. È dunque necessario continuare a porre l’attenzione su questi aspetti, con una lettura trasversale dei dati proprio in questa ottica, per programmare e ri-orientare adeguatamente le politiche di contrasto alle disuguaglianze in salute, verso azioni di sistema orientate all’equità, che rappresenta uno dei principi cardini del Piano Nazionale della Prevenzione”.
La salute e gli stili di vita
Il 30% degli italiani rifere di non godere di buona salute ma, se si esamina il campione delle persone con difficoltà, la percentuale sale al 43% e scende al 23% fra i più abbienti. Inoltre, il 6% soffre di sintomi depressivi, quota che sale al 14% fra le persone con maggiori difficoltà economiche e scende al 4% fra chi non ne ha. Anche la qualità di vita risulta compromessa e se gli intervistati riferiscono mediamente di essere stati male per problemi di salute fisica o psicologica mediamente 4,4 giorni nel mese precedente l’intervista, il numero medio di giorni in cattiva salute sale a 7 fra le persone con difficoltà economiche (vs 3,6 giorni fra chi non ha difficoltà economiche). Differenze analoghe si osservano per livello di istruzione: fra le persone con un basso livello di istruzione il 55% riferisce cattive condizioni di salute (vs 20% dei laureati), il 12% sintomi depressivi (vs 4%) e il numero medio di giorni vissuti in cattiva salute per motivi fisici o psicologici è 7.1 in un mese (vs 3.8 riferiti da laureati). Fra le persone socialmente vulnerabili per difficoltà economiche o bassa istruzione è anche maggiore la frequenza di stili di vita non salutari, come l’abitudine al tabagismo, la sedentarietà, lo scarso consumo di frutta e verdura, l’obesità o condizioni di rischio cardiovascolare come il diabete o l’ipertensione. Fra le persone con molte difficoltà economiche il 34% fuma (vs 22% di chi non ha difficoltà economiche), il 46% è sedentario (vs 28%), il 9% consuma almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno (five a day), come raccomandato per una corretta e sana alimentazione (vs 11%); l’8% riferisce una diagnosi di diabete (vs il 3%), il 25% una diagnosi di ipertensione (vs il 18%). Analoghe sono le differenze per istruzione: fuma il 24% delle persone con bassa istruzione (vs 19% dei laureati), il 50% è sedentario (vs 26%), il 25% obeso (vs 6%); il 9% aderisce al five a day (vs 12%), il 16% riferisce una diagnosi di diabete (vs 2%) e il 43% una diagnosi di ipertensione (vs 13%). Va precisato che tali differenze rimangono in molti casi significative, anche se in parte determinate dall’età degli intervistati, a sua volta correlata al livello di istruzione. Fra i comportamenti non salutari, unica eccezione è quella del consumo alcolico a rischio per la salute, per quantità e modalità di assunzione, che resta prerogativa delle classi sociali più abbienti, senza difficoltà economiche e alto livello di istruzione, residenti nel Nord e in particolare nel Nord-Est del Paese.
Le disuguaglianze sociali nella prevenzione dei tumori
I dati PASSI mostrano che le persone con istruzione più bassa, con maggiori difficoltà economiche e i cittadini stranieri si sottopongono meno frequentemente di altri ai test di diagnosi precoce dei tumori della mammella, del collo dell’utero e dell’intestino, che sono quelli per i quali il SSN offre programmi organizzati di screening a target specifici di popolazione. Nel quadriennio 2015-2018, il 74% delle donne residenti in Italia di 50-69 anni si è sottoposto a mammografia preventiva, ma questa quota scende al 60% fra le donne con molte difficoltà economiche (vs l’81% fra donne senza difficoltà economiche); al 64% tra le donne con bassa istruzione (vs il 81% fra le laureate); al 70% fra le donne di cittadinanza straniera (vs il 74% fra le cittadine italiane). Analogamente accade per lo screening cervicale: l’80% delle donne di 24-64enni si sottopone a screening cervicale (Pap-test o HPV test) per la diagnosi precoce del tumore della cervice uterina; ma questa quota scende al 69% fra le donne con molte difficoltà economiche (vs 85% fra le donne che non hanno difficoltà economiche) al 62% fra le donne meno istruite (vs 84% fra le laureate); al 75% fra le donne di cittadinanza straniera (vs 80% delle cittadine italiane).
Anche lo screening colorettale per la diagnosi precoce del tumore dell’intestino, molto meno diffuso degli altri due screening, presenta differenze sociali significative, in particolare per condizioni economiche: solo il 40% della popolazione target (uomini e donne di 50-69enni) ha eseguito la ricerca del sangue occulto nelle feci (test di screening colorettale maggiormente diffuso) ma questa quota scende al 26% fra le persone con molte difficoltà economiche (vs il 49% fra le persone senza difficoltà economiche); al 33% fra le persone meno istruite (vs 41% fra le laureate). L’offerta attiva di programmi di screening organizzati, basati su un invito da parte della Aziende Sanitarie Locali e sull’offerta di un percorso di approfondimento assistenziale e terapeutico definito e gratuito, è la risposta del SSN per garantire un’adeguata copertura del test a chi ne ha necessità. I dati PASSI mostrano chiaramente che le differenze per istruzione, condizioni economiche e cittadinanza nella partecipazione ai test di screening si riducono significativamente nell’ambito dei programmi organizzati offerti dalle Aziende Sanitarie Locali che rappresentano spesso l’unica opportunità di accesso alla diagnosi precoce dei tumori per le persone socialmente più svantaggiate. Resta significativo il gradiente geografico Nord-Sud a sfavore delle Regioni meridionali determinato prevalentemente dalla minore offerta di programmi di screening organizzati in queste Regioni.
Nelle Regioni in cui l’offerta di programmi organizzati è ampia (Nord e Centro Italia) è maggiore la quota di persone che fa prevenzione nell’ambito dei programmi organizzati, rispetto alla quota di persone che lo fa per iniziativa spontanea; di contro, nelle Regioni in cui l’offerta di programmi organizzati non è ancora sufficiente e non raggiunge la totalità della popolazione target (come nel Sud Italia), la quota dello screening spontaneo è rilevante e talvolta maggiore, senza però riuscire a compensare la mancanza di offerta dei programmi organizzati, per cui il numero totale di persone che fa prevenzione (dentro o fuori i programmi organizzati) resta comunque più basso che nel resto del Paese.
Le disuguaglianze sociali nella prevenzione degli incidenti stradali
Anche l’uso dei dispositivi di sicurezza alla guida (il casco in moto o le cinture anteriori e posteriori in auto) risponde a differenze socio-culturali e le persone con difficoltà economiche o bassa istruzione ne fanno un uso meno frequente. L’uso del casco in moto, sebbene consolidato, riferito come abitudine costante dal 96% degli intervistati che viaggiano in moto, è meno frequente fra le persone con molte difficoltà economiche (93%) e fra le persone con bassa istruzione (89%). Analogamente accade per l’uso delle cinture anteriori in auto, riferito dall’85% come abitudine costante e che scende al 76% fra le persone con difficoltà economiche e al 78% fra i meno istruiti; le cinture posteriori, malgrado la normativa, restano ancora poco utilizzate e solo il 21% riferisce che le usa sempre quando viaggia in auto come passeggero, quota che scende al 16% fra le persone con difficoltà economiche e al 19% fra le persone con bassa istruzione.