"Il progresso tecnologico, almeno nel lungo periodo, tende a generare piu’ posti di lavoro di quanti ne distrugga. Tuttavia occorre riflettere, oggi, se durante la transizione verso un nuovo equilibrio con piu’ automazione e piu’ ‘digitale’, i costi economici e sociali – in termini di salari relativi, di qualita’ delle occupazioni, di partecipazione al mercato del lavoro – non possano comunque essere molto rilevanti".
Lo ha detto il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella sua prolusione sul tema "Innovazione, conoscenza, finanza" all’Universita’ di Cagliari in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2019-2020. "Alcune societa’- tra cui le cosiddette ‘Big Tech’, quali Amazon, Apple, Facebook e Google – si trovano nella posizione migliore per sfruttare i cambiamenti; possono utilizzare il vantaggio di un enorme patrimonio di informazioni personali sui consumatori e possono piu’ facilmente abbattere i prezzi con investimenti in tecnologia e sfruttando le differenze tra paesi nel costo del lavoro – ha proseguito Visco -. L’attivita’ delle imprese Big Tech e di altre con caratteristiche simili pone delicate questioni riguardanti la sicurezza informatica, anche con riferimento alla gestione e al trattamento dei dati personali. Per la complessita’ e per la natura globale di questi temi qualsiasi tentativo di regolamentazione unilaterale e’ destinato al fallimento; sono indispensabili iniziative a livello internazionale".
"In Italia il sistema produttivo non e’ riuscito ad adattarsi con prontezza ai grandi cambiamenti prodotti nel tempo dalla tecnologia e dalla globalizzazione; ne hanno risentito la produttivita’ e il potenziale di crescita dell’economia – ha proseguito il governatore -. Gli indici che riassumono il livello di digitalizzazione dell’Unione europea e degli Stati membri pongono l’Italia agli ultimi posti, con un ritardo particolarmente accentuato negli utilizzi e nelle competenze. Sebbene l’istruzione renda, in Italia, meno che nella media degli altri paesi dell’OCSE – fattore che alimenta la cosiddetta ‘fuga dei cervelli’ – titoli di studio superiori hanno comunque un rendimento maggiore degli altri".