ROMA – Dall’analisi dell’Osservatorio Cibi, Produzioni, Territorio (CPT) Eurispes, Uci e Univesitas Mercatorum emerge il ritratto di un consumatore sempre piu’ informato e consapevole, che cerca innovazione e piacere cosi’ come salute, che acquista prodotti certificati ma non si fida piu’ solo di un bollino.
I consumatori 4.0 non hanno piu’ fame, ma appetito, e questo e’ saziato nella loro mente piu’ che nella loro pancia. L’Osservatorio CPT ha condotto un’indagine alla ricerca del significato di qualita’ nella percezione dei responsabili di acquisto, tra i millennials. Nell’ambito della sicurezza alimentare, secondo il 64,8% dei millennials intervistati un cibo e’ di qualita’ se "lo mangio e non fa male"; al contempo, il 63% ritiene che sia di qualita’ se "ci stanno poche cose dentro"; il 56,3% lega la qualita’ del cibo al fatto che "l’etichetta sia fatta bene". In tema di qualita’ ambientale della terra d’origine dei prodotti, un cibo e’ di qualita’ se "c’e’ una certificazione ambientale del luogo" per quasi la totalita’ degli intervistati (98%); "si sa da dove viene" per il 93,7%.
Passando al tema della naturalita’ dei processi dei prodotti, secondo il campione preso in esame, un cibo e’ di qualita’ se "e’ certificato bio" per l’84,7%, con una differenza di dieci punti tra le opinioni delle donne (89,6%) e quelle degli uomini (79,6%). Per quanto riguarda l’aspetto del contenuto salutistico dichiarato, il cibo e’ di qualita’ se "svolge funzioni positivi per l’organismo" secondo la quasi totalita’ degli intervistati (97,8%). Infine, per quanto riguarda la cosiddetta sostanza laica della qualita’, quasi sei su dieci (57,9%) ritengono che un cibo sia di qualita’ se "e’ fatto in piccole quantia’"; solo il 47,8% crede sia di qualita’ se "si sa come e’ stato fatto".