La dieta dell’orologio per dimagrire e contro il diabete. La dieta dell’orologio prevede il consumo dei pasti nell’arco di non più di 10 ore. Lo spiega uno studio pilota pubblicato sulla rivista Cell Metabolism e condotto da Satchidananda Panda, del Salk Institute di La Jolla in California.
La ricerca ha coinvolto 19 pazienti con sindrome metabolica, un quadro clinico caratterizzato in genere da sovrappeso, ipertensione, trigliceridi e colesterolo alti, glicemia alta a digiuno. Chi soffre di sindrome metabolica è ad alto rischio di sviluppare il diabete. In pratica con la dieta dell’orologio non si contano le calorie ma soltanto gli orari dei pasti. In questa dieta che è ragionevolmente semplice per la gran parte degli individui la regola è di non mangiare per 14 ore al giorno: significa che se la colazione è consumata alle 8 del mattino, la cena deve avvenire non più tardi delle 18. Un modo semplice per rispettare questa regola è fare colazione due ore dopo il risveglio. La ricerca ha dimostrato che i 19 pazienti che hanno seguito la dieta dell’orologio per tre mesi di seguito hanno hanno perso peso, chi aveva la pressione alta ha visto ridursi i propri valori, così pure quelli del colesterolo cattivo.
Insomma molti degli aspetti fondanti della sindrome metabolica e quindi del rischio diabete si riducono con tre mesi di questa dieta. Gli autori stanno al momento allestendo un nuovo trial clinico che coinvolgerà almeno 100 pazienti, metà dei quali seguirà la dieta dell’orologio, per confermare questo dato preliminare. "Questo tipo di intervento dietetico – spiega Francesco Purrello dell’Università di Catania e Presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) – è collegato al mantenimento di ritmi circadiani (o in altri termini l’alternanza di luce e buio, i ritmi sonno-veglia e tutto ciò che ad essi si collega) favorevoli per il metabolismo. I ritmi circadiani, veri e propri orologi biologici, svolgono un ruolo determinante per il funzionamento di molti sistemi ormonali o nervosi – precisa Purrello.
Si tratta di risultati molto interessanti, anche perché ottenuti senza apparenti variazioni nelle abitudini alimentari o di attività fisica dei soggetti partecipanti allo studio", conclude il diabetologo.