Milano, 27 gen. – Nonostante l'importanza della videocapsula endoscopica, il suo utilizzo non è ancora omogeneo nel sistema sanitario italiano. E' quanto emerso dal convegno Rave che si è svolto a Vimercate, alle porte di Milano. In assenza di una normativa nazionale unica sulla rimborsabilità della tecnica, in alcune regioni risulta ancora tariffata come procedura ambulatoriale, mentre in altre richiede un ricovero ospedaliero.
Nel nostro Paese l'impiego della capsula endoscopica risulta quindi ancora in controtendenza rispetto agli standard degli altri principali Paesi europei: in Francia ad esempio si stimano 25.000 casi all'anno, contro i circa 7.500 nella Penisola. Nel 2017 la metodica è stata inserita nei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), permettendo così la teorica unificazione della tariffazione su tutto il territorio nazionale. Non tutte le Regioni però si sono adeguate. Quelle che ad oggi rimborsano l'esame con videocapsula come procedura ambulatoriale sono il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, il Veneto, l'Emilia Romagna, la Basilicata, le Marche, il Piemonte, il Trentino Alto Adige, la Valle d'Aosta, l'Umbria e la Puglia.
"La scienza ha ormai dimostrato inequivocabilmente che, per la situazione di sanguinamento intestinale più frequente, quella a partire dall'intestino tenue, l'analisi diagnostica va eseguita tramite videocapsula", ha affermato Marco Pennazio, divisione di Gastroenterologia universitaria, Azienda ospedaliero-universitaria, Città della Salute e della Scienza di Torino. "L'efficacia di questo mezzo può portare anche a una riduzione dei costi, essendo un percorso diagnostico più corto e che impiega minori risorse – ha evidenziato – Purtroppo in Italia viviamo ancora in una situazione a macchia di leopardo. In alcune regioni non si può utilizzare la videocapsula perchè non è rimborsata dal sistema sanitario, mentre negli Usa hanno addirittura deciso di adottare il dispositivo dopo i risultati di uno studio italiano. Un paradosso frustrante".