Achille Lauro è il vero vincitore della settantesima edizione del festival della canzone italiana. Oggi si continua a parlare di Achille lauro come vero simbolo del cambiamento a Sanremo 2020. “Per fortuna, però, abbiamo avuto Achille Lauro” – come si legge sul sito Linkiesta. Il giovane cantante si successo viene addirittura paragonato al Cristo in gonnella di Scicli. “Come il Cristo in gonnella nella chiesa di Scicli dipinto alla fine del Seicento da un pittore spagnolo, – si legge sempre sul sito linkiesta -Achille entra in scena vestito da san Francesco, però barocco e donna.
Un po’ muscoloso un po’ sfranto, né efebo né macho, col sospensorio pubico per rendere ancora più esplicito il suo “me ne frego” indirizzato agli spogliatoi dei maschi, con la voce biascicata del ragazzino cresciuto nel terzo municipio di Roma si toglie la mantella e si offre in sacrificio per noi: “Fai di me quel che vuoi, sono qui (…) ci son cascato di nuovo, pensi sia un gioco vedermi prendere fuoco”, come abbiamo detto tutte e tutti la milionesima volta che ci siamo innamorati, “dimmi una bugia me la bevo, sì sono ubriaco ed annego”, come abbiamo detto tutte e tutti la prima volta che abbiamo capito che all’amore che strappa i capelli ci pensiamo domani, intanto combiniamo per stanotte e poi si vede.
Così Achille Lauro, il santo, fa il miracolo: esce dal ghetto della dolenza, dell’indignazione, dell’autocompiacimento, dell’autocommiserazione, distrae tutti dagli automatismi vittima-carnefice, mitraglia un ossimoro dopo l’altro, si immola consapevole, ha una fragilità magnetica, la profondità superficiale delle piume del pavone. Non si atteggia a queer, piuttosto usa il verbo queer, lo agisce. Non fa il funerale alla stranezza, non la immobilizza, non la usa come soluzione ma come agitazione. Non è tanto il solito solco paralizzante (se sei così diverso perché vai nella tana dell’industria musicale?
E se vai nella tana dell’industria musicale perché vuoi farci credere di essere così diverso?), quanto il disorientamento che semina e innesca fra gli spettatori un disprezzo confuso: sei stonato anzi no anzi sì ma tanto non importa, è il festival della canzone anzi no è il festival dello spettacolo, sei blasfemo anzi non lo sei abbastanza, ecco qual è il punto: non hai inventato niente, sei in ritardo di qualche decennio, e allora David Bowie, e allora Renato Zero, e allora le foibe (cit.). La differenza fra Platini che gioca la partita e il tifoso sugli spalti, mi spiegò una volta un saggio, è che Platini continua a giocare, mica si ferma a rispondere.