Roma, 17 feb. – – La produzione di materie plastiche è aumentata vertiginosamente negli ultimi decenni: metà di tutta la plastica prodotta è stata realizzata negli ultimi 15 anni, la maggior parte sotto forma di imballaggi. È aumentata anche la quantità di rifiuti plastici generati, ma i metodi per gestirli non hanno tenuto il passo: ogni anno, secondo la stima di Boston Consulting Group, su 350 milioni di tonnellate di plastica prodotte nel mondo, 250 finiscono in discariche o vengono disperse nell'ambiente, 10 finiscono negli oceani.
Il primo passo per ridurre il grande impatto ambientale della plastica è limitare l'utilizzo di quella monouso, incentivare il riuso e il riciclo, con una cultura del consumo più consapevole, soprattutto nelle prime 20 economie mondiali che da sole utilizzano dal 75% al 90% della plastica totale. Ma la lotta ai rifiuti della plastica ha un nuovo alleato tra le soluzioni di riciclo “circolari”: la pirolisi, il riciclo chimico che può coadiuvare, se non sostituire, quello meccanico tradizionalmente praticato. Lo rivela l'indagine di Bcg “A Circular Solution to Plastic Waste” che ha messo sotto a lente il potenziale delle tecnologie circolari, in grado di mitigare gli effetti negativi del modello attuale di smaltimento della plastica.
Lo studio evidenzia come il riciclo meccanico (cioè il recupero dei rifiuti di plastica attraverso processi meccanici) presenti diversi limiti: richiede una catena di approvvigionamento sviluppata, con forti capacità di selezione, lavaggio e macinazione, ma soprattutto non è in grado di trattare alcune materie plastiche (sia comuni che polimeri avanzati), per cui si attende la realizzazione di nuovi materiali progettati per la riciclabilità. Intanto però si stanno affermando tecniche di riciclo circolare della plastica molto promettenti. Fra tutte la pirolisi, che consiste nell'applicazione di una fonte di calore in totale assenza di ossigeno, permette la scomposizione chimica del materiale, con il passaggio da polimeri a singoli monomeri, ottenendo a fine processo mediamente il 70-80% di petrolio (riutilizzabile in vari modi) e il 10-15% gas.
Quel che resta, è materiale bruciato riutilizzabile nella costruzione di strade o da conferire in discarica. Per Bcg, la pirolisi può diventare un'alternativa strutturata al riciclo meccanico, grazie a costi inferiori e facilità di applicazione, con la possibilità di riciclare un maggiore numero di tipologie di plastica, senza la necessità di un sistema a circuito chiuso di macinazione, separazione, essicazione e compouding. Inoltre, rappresenta un business promettente per le aziende chimiche. A patto che si tengano presenti quattro fattori: il volume di plastica disponibile, i costi di acquisizione e di trattamento, la capacità del progetto e i costi operativi, oltre ai ricavi dalla vendita di combustibile.
Un'indagine sulla catena del valore, i costi di processo, il potenziale di mercato e l'impatto ambientale della pirolisi in otto Paesi che rappresentano mercati maturi (Singapore e Seine-Maritime in Francia), moderatamente sviluppati (gli stati americani Alabama, Florida, Georgia, Louisiana e Texas) ed emergenti (le province cinesi dello Guangdong e dello Zhejiang) evidenzia come la soluzione dal punto di vista economico sia disponibile in tutti i contesti. In sei di questi, sarebbe possibile realizzare impianti in grado di smaltire fino a 30 chilotonnellate di plastica l'anno con un ritorno economico che ne giustifichi l'investimento. In alcuni paesi l'impatto dell'uso del riciclo chimico sarebbe immediato e sostanziale, in altri lo diventerebbe rendendo meno convenienti i sistemi di smaltimento più dannosi per l'ambiente come le discariche.
Se aziende, istituzioni e governi riusciranno a supportarla, la pirolisi può avere un ruolo importante nel mitigare l'impatto ambientale della plastica nel breve e medio termine, contribuendo a migliorare la questione ambientale globale.