Roma, . – "In Italia crescono gli studi clinici per le malattie rare: il numero di sperimentazioni per trovare una cura contro queste patologie è aumentato nel tempo passando da 66 autorizzate nel 2010 a ben 210 nel 2018. E quasi l'80% è sostenuto dalle imprese del farmaco". A fare il punto con l'Adnkronos Salute Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, in attesa di domani, 29 febbraio 2020, ovvero il giorno più raro dell'anno, in cui si celebra la tredicesima edizione della Giornata mondiale delle malattie rare.
"In Europa – prosegue – sta crescendo il numero di farmaci orfani approvati per i malati rari: si è passati da 72 nel 2014, a ben 135 nel 2018 e l'Agenzia italiana del farmaco ha provveduto a dare il via libera nel nostro Paese a quasi l'81% dei prodotti orfani autorizzati complessivamente da Ema (Agenzia europea dei medicinali). In particolare, evidenzia, "è l'oncologia l'area terapeutica a registrare il più forte aumento a livello Ue di nuove terapie per malattie rare. E nel mondo i ricercatori pubblici e privati non si fermano e le imprese continuano a investire: sono oltre 560 le medicine in sviluppo contro malattie rare (soprattutto forme di tumore, condizioni genetiche, disturbi neurologici, ematologici)".
A influire positivamente è stato il Regolamento europeo 141/2000 sui farmaci orfani che, incentivando le aziende farmaceutiche a cercare nuove cure contro le malattie rare, ha avuto un grande impatto per la vita dei pazienti del Vecchio Continente: "Il numero di farmaci orfani – ricorda Scaccabarozzi – è passato da 8 nel 2000 a 164 nel 2018, con 2.121 designazioni a fine 2018. Gli studi clinici sulle malattie rare sono aumentati dell'88% tra il 2006 e il 2016". Ma come si definisce una malattia rara? "E' una patologia – spiega il presidente Farmindustria – che ha un'incidenza fino a 1 caso ogni 2.000 persone e nel 50-75% dei casi colpisce i bambini. Si stima che solo il 5% delle malattie rare abbia un trattamento approvato e quando il peso ricade sulle famiglie con un bimbo malato, questo incide per il 90% dei casi in modo negativo sull'attività lavorativa della madre o del padre.
Nel 39% dei casi entrambi i genitori sono costretti a limitare o interrompere la propria attività lavorativa per le necessità dettate dalla patologia del figlio. Dobbiamo continuare a lavorare prima di tutto per arrivare a dare un nome a tutte queste malattie, e poi per assicurare un trattamento efficace", conclude.