Roma, 1 apr. – Uomini più vulnerabili a Covid-19. Se l'epidemiologia suggeriva questa tendenza, "adesso abbiamo dati per confermarlo: l'enzima che il virus sfrutta per entrare nelle cellule è più espresso nell'uomo". Così Marina Ziche e Amelia Filippelli dell'Unità di crisi della Società italiana di farmacologia su SArs-CoV-2 mettono in evidenza le ragioni scientifiche alla base delle differenze del rischio di infezione e della gravità della patologia tra maschi e femmine.
"Le donne, forse per ragioni evolutive, sono naturalmente più forti nei confronti delle infezioni. E non dimentichiamo – spiegano le esperte in una nota – che la donna ha due cromosomi X, uno in più rispetto all'uomo, e molti dei geni legati all'immunità si trovano proprio sui cromosomi X, fornendole il doppio di queste risorse. Infine, gli ormoni sessuali: il testosterone, ormone sessuale maschile, è generalmente un immunosoppressore, mentre gli estrogeni, importanti ormoni regolatori sessuali femminili, tendono a essere immunostimolanti".
Da uno studio clinico che tra gennaio e febbraio 2020 ha analizzato 4880 soggetti asintomatici o sintomatici per la patologia respiratoria nell'ospedale di Wuhan, in Cina, è emerso che la positività al coronavirus nella popolazione maschile e anziana (>70 anni) presentava tassi significativamente più alti, sebbene solo l'età fosse stata riconosciuta come fattore di rischio. E il report dall'Iss che raccoglie i dati italiani fino allo scorso 24 marzo su Covid-19 evidenzia come i maschi rappresentino il 57,8% degli infetti e le femmine il 42,2%. La differenza tra i generi diventa più rilevante se si esaminano i numeri dei decessi e le fasce di età: il 70,9% sono maschi mentre le femmine sono il 29,1% e con una mediana per l'età di 78 anni negli uomini rispetto agli 82 delle donne.
Quindi non c'è dubbio che ci sia "una questione di genere che non deve essere disattesa nell'affrontare questa pandemia. Come interpretare questi dati e cosa ci suggeriscono rispetto alle strategie terapeutiche e di prevenzione? Gli anziani sono più vulnerabili e, nei piani sanitari nazionali, questa fragilità è alla base delle campagne vaccinali che ogni anno cercano di prevenire le evoluzioni infauste delle sindromi influenzali".
"L'analisi dell'Iss ha mostrato che gli uomini avevano un tasso di mortalità significativamente più alto, e manifestavano una sintomatologia peggiore, indipendentemente da età, sintomi e comorbilità, rispetto alle donne. Quindi gli uomini, soprattutto se anziani, sono più vulnerabili delle donne alle infezioni virali e alle loro evoluzioni negative", sintetizzano le esperte Sif.
Il virus entra nelle cellule bersaglio utilizzando l'enzima di conversione dell'angiotensina II (Ace2), localizzato sull'endotelio dei capillari polmonari da dove svolge un ruolo fondamentale nella regolazione della pressione arteriosa. Ace2 è più espresso negli uomini rispetto alle donne. "Non si esclude che questa significativa differenza, mantenuta tra popolazioni di diversi Paesi, possa essere legata anche a diverse abitudini e stili comportamentali come il fumo", si legge nell'analisi Sif. Infine "i dati ci confermano che questo ceppo di coronavirus predilige i maschi e specifiche fasce di età, manifestando una chiara indicazione di genere che merita grande attenzione mentre si stanno sperimentando farmaci e vaccini".