Roma, 22 apr. – "Il calo di circa il 50% di pazienti che arrivano nei nostri centri con i sintomi di un infarto è dovuto non solo alla paura del Covid-19, per la quale molti evitano di venire in ospedale e si riducono all'ultimo, diminuendo in questo modo le possibilità di sopravvivenza. Ma anche all'effetto benefico della vita più tranquilla di cui molti di noi stanno godendo durante il lockdown: non si lavora, non si guida, si hanno meno occasioni di stress. Un fenomeno che stiamo osservando e studiando", afferma all'Adnkronos Salute Francesco Romeo, direttore Uoc Cardiologia e cardiologia interventistica al Policlinico Tor Vergata di Roma.
Nel centro capitolino, fra i principali hub in Italia per il trattamento degli infarti (oltre 400 l'anno), Romeo ha iniziato a notare un drastico calo degli accessi già da metà marzo: "Confrontandomi poi con altre realtà in tutta Italia, questo mi è stato confermato e stiamo andando avanti con l'analisi della situazione", assicura. Da questa osservazione "notiamo che c'è una parziale ripresa dei ricoveri. Inoltre riflettendo e confrontandomi con i colleghi di altri centri hub e anche spoke, la mia sensazione è che ci siano due elementi da tenere in considerazione: da una parte molta gente non veniva in ospedale per paura del contagio da Covid. I ricoveri si sono ridotti del 50%, forse anche più, e questo è il tema di uno studio che abbiamo appena pubblicato sul 'Journal of Cardiovascular Medicine'. I pazienti arrivano tardi, con patologia già evoluta e non c'è nulla di peggio di doverli prendere in carico con infarto avanzato, una condizione che qualche anno fa era quasi non trattabile".
Accanto a questo fenomeno, però, rileva il cardiologo, "credo si possa affermare che ci sia un 20% di effettiva riduzione degli infarti, perchè la vita che molti di noi stanno facendo è esente da stress psicofisici, che hanno un ruolo molto importante nelle sindromi coronariche acute: non si litiga in ufficio o per qualsiasi altro motivo al supermercato o in macchina al semaforo, si hanno meno occasioni di scontro in generale".
"Alcuni colleghi mi hanno detto di aver notato anche un calo delle emorragie cerebrali – fa sapere Romeo – facilitate in gran parte anche loro dallo stress quotidiano e da una crisi ipertensiva. Ancora, il ruolo della riduzione dell'inquinamento atmosferico potrebbe essere importante. Un'altra ipotesi, infine, è che, poichè la sintomatologia dell'infarto spesso comprende insufficienza ventricolare e dispnea, i pazienti tardano ad arrivare in pronto soccorso perchè attendono di vedere se compare la febbre, temendo di essersi infettati con il coronavirus".
"Il rischio – aggiunge Romeo – è di vanificare in questi due mesi di lockdown 20 anni di campagne d'informazione che evidenziavano l'importanza di rivolgersi subito al pronto soccorso in caso di segnali di infarto, come dolore al petto e difficoltà a respirare: eppure, ogni 10 minuti di ritardo nella diagnosi e nel trattamento dell'infarto, la mortalità aumenta del 3%. Se ritardo mezz'ora, quindi, muore il 10% in più dei pazienti", aggiunge.
"Attraverso campagne informative promosse dalla Fondazione italiana cuore e circolazione che presiedo, con la collaborazione della Società italiana di cardiologia (Sic) – ricorda Romeo – sono anni che cerchiamo di sensibilizzare gli italiani sull'importanza di un intervento precoce per ridurre al minimo i danni da infarto. Ad esempio con lo slogan 'Ogni minuto conta', che evidenzia proprio quanto sia prezioso ogni attimo per salvare la vita di chi subisce un infarto. Mentre stiamo vedendo pazienti che si sono tenuti i sintomi anche 5 giorni prima di decidersi a venire in ospedale. Tutto per il timore di essere contagiati dal nuovo coronavirus".
"Noi dobbiamo dire a questi pazienti che non devono avere paura e che devono subito recarsi nei centri di riferimento specializzati che trattano centinaia di casi ogni anno, perchè tutti si sono attrezzati con percorsi separati dedicati", garantisce lo specialista. Romeo ricorda quali sono i segnali principali di un attacco di cuore: "Dolore toracico, che qualche volta si può associare a dispnea. Questa è la sintomatologia primordiale, chiamata di 'chest discomfort', che deve allarmare in particolar modo chi è ad alto rischio di infarto, come pazienti con coronaropatia, ipertesi o diabetici".