Roma – Il dolore cronico reumatico può essere dovuto ad artrite reumatoide, Lupus, sclerosi sistemica, osteoporosi, vasculiti. E sono solo alcune delle oltre 150 malattie reumatiche che interessano soprattutto le donne, anche in età giovanile. Nel nostro Paese ne soffrono 5 milioni di persone, il 10 per cento della popolazione. Queste patologie – secondo la Società italiana di Reumatologia – colpiscono a tutte le età, bambini compresi. Sbagliato dunque confondere le patologie reumatologiche come esclusive della terza età, anche se gli anziani pagano un prezzo elevato in termini epidemiologici.
Malati fragili, cronici, spesso in labile equilibrio clinico, troppo a lungo dimenticati a causa del Covid-19. Negli ospedali i reparti di Reumatologia non sono più attivi perchè destinati alla Medicina interna e alle Terapie intensive. Risultato? Questi pazienti con dolore cronico reumatico sono stati lasciati soli. «Non c'è dubbio – dice il prof. Luigi Sinigaglia, presidente nazionale della Sir – che l'emergenza della pandemia ha messo in secondo piano l'assistenza per un esercito di pazienti affetti da malattie croniche, che in Italia rappresentano il 70% della spesa pubblica sanitaria (solo per le tre principali patologie reumatiche, ovvero artrite reumatoide, artrite psoriasica e spondilite anchilosante si spendono ogni anno 4 miliardi di euro): pazienti reumatologici ma anche migliaia di persone con patologie croniche che richiedono assistenza, monitoraggio e nuovi interventi terapeutici. In questo modo molti pazienti con dolore cronico reumatico sono stati lasciati soli senza più la possibilità di confrontarsi con il loro specialista per le problematiche relative alla malattia di base».
«I malati reumatici, in questo momento – conferma il prof. Antonino Mazzone, specialista in Medicina interna, ematologia e immunologia presso l'ospedale di Legnano – temono di essere più esposti all'infezione a causa del loro stato di immunodepressione e di veder venir meno la continuità assistenziale legata anche alla paura non solo della sospensione delle attività cliniche ma anche della carenza dei farmaci. Hanno paure legate alla vita in comunità ed al ritorno al lavoro ed incertezze sulla gestione delle terapie domiciliari (sospensione/mantenimento delle terapie), pertanto chiedono venga loro garantita la continuità terapeutica e anche il rapporto con lo specialista di riferimento».
Registro Covid per i pazienti reumatologi – Istituito dallo scorso marzo dalla Sir per monitorare l'impatto della pandemia di Covid-19 sui pazienti reumatologici (categoria considerata a rischio). Il Registro è attivo su tutto il territorio nazionale. Obiettivo: individuare tutti i casi di infezione da Covid-19 che si fossero verificati nei pazienti reumatologici in Italia. «L'iniziativa – spiega Sinigaglia – è la prima al mondo. Con il Centro Studi abbiamo allestito una cartella elettronica, di facile compilazione, contenente informazioni demografiche, relative alla patologia di base e alle terapie seguite oltre che alla sintomatologia di esordio dell'infezione da Sars-Cov-2 e ai suoi esiti. La Sir ha invitato tutti i soci (circa 1.200 sul territorio nazionale) a compilare la cartella con le informazioni richieste in tutti i casi in cui il reumatologo fosse venuto a conoscenza di una infezione in un paziente reumatologico. Al 20 aprile erano 150 le segnalazioni raccolte.
Le informazioni saranno cruciali per comprendere se i nostri pazienti con dolore cronico reumatico sono effettivamente a rischio aumentato o se, al contrario, possano essere considerati relativamente protetti anche in funzione di trattamenti che vengono comunemente utilizzati per la terapia di malattie reumatologiche e che si stanno dimostrando di una qualche efficacia anche nella terapia dell'infezione virale. Il Registro reumatologico italiano è in contatto con Registri internazionali in cui riversa le informazioni ricevute in modo da contribuire a costruire un data base molto ampio da cui ricavare informazioni scientificamente attendibili».
I malati reumatici, in modo particolare chi è afflitto da artrite reumatoide, sono particolarmente soggetti a malattie virali e polmoniti. Dunque, più a rischio di contagio? «I pazienti con artrite reumatoide hanno un rischio maggiore di contrarre infezioni rispetto alla popolazione generale – ammette il prof. Sinigaglia – sia in funzione della attività di malattia (che sembra essere il determinante principale) sia in relazione a terapie che potrebbero concorrere ad una condizione di relativa immunodepressione. Al momento non ci sono tuttavia dati certi che questa popolazione di pazienti sia effettivamente a maggior rischio di contrarre infezione da SARS-Cov 2 e se l'infezione possa decorrere in maniera più o meno grave». «Il rapporto tra artrite reumatoide e malattie infettive è complesso ma noto da tempo – aggiunge il prof. Mazzone -.
Il Covid-19 non si comporta da questo punto di vista diversamente dagli altri agenti infettivi. Da un lato potrebbe causare artriti acute e/o riacutizzazioni, dall'altro nelle forme croniche le terapie immunosoppressive espongono inevitabilmente il paziente ad un maggior rischio di contrarre l'infezione. In realtà i dati raccolti dalla Sir ad oggi hanno dimostrano una incidenza di malattie reumatiche nel Covid-19 dello 0.08%. D'altra parte, anche la sospensione delle terapie, con conseguente scarso controllo della malattia infiammatoria, potrebbe rappresentare una importante condizione di rischio per lo sviluppo del Covid-19. È quindi importante mantenere tanto la sorveglianza quanto le terapie in atto: la somministrazione di farmaci immunosoppressivi va sospesa solo se insorgono sintomi di tipo simil-influenzale come febbre o tosse, normale prassi medica che va eseguita indipendentemente dal COVID-19, come consigliato dalle linee guida della Società italiana di reumatologia».
Mai sospendere le terapie – Medici e pazienti sono invitati a seguire le indicazioni degli specialisti: non sospendere o modificare le terapie in atto. «Non abbiamo – sottolinea Sinigaglia – alcun dato che ci faccia ritenere che le terapie reumatologiche in generale possano determinare un aumento del rischio di infezione da SARS-COV-2. Noi siamo molto più preoccupati dalle possibili riacutizzazioni di malattia in quanto in generale quando una malattia reumatologica è particolarmente attiva allora esiste un sicuro incremento del rischio di infezione. Su queste basi l'invito che continuiamo a trasmettere è quello di proseguire le terapie in atto, di confrontarsi con il proprio specialista e, naturalmente, di sospendere le terapie solo in casso di evidenti sintomi di contagio. Come molti altri farmaci utilizzati in reumatologia, anche i cortisonici hanno un ruolo nella gestione della polmonite da Covid o nel corso di altre manifestazioni di malattia. Anche per i cortisonici la terapia non dovrebbe essere modificata: in alcuni casi sono dei veri e propri farmaci salva-vita e la loro riduzione o sospensione può essere estremamente pericolosa».
La carenza di farmaci – L'allarme dell'Associazione dei pazienti: «Poca disponibilità di quei medicinali entrati nei protocolli per il trattamento d'infezione da Covid-19». Mancano davvero le scorte di antimalarici e antinfiammatori? «Nella nostra zona non ci sono state segnalate importanti carenze di farmaci – tiene a precisare Mazzone -. I trattamenti sono stati garantiti sia ai pazienti ospedalizzati ed affetti da Covid-19 che ai pazienti affetti da dolore cronico reumatico. Dove possibile abbiamo convertito la somministrazione di tocilizumab endovenosa in tocilizumab sottocutanea al fine di aver maggior disponibilità di farmaco a somministrazione endovenosa per le polmoniti da Covid-19. Abbiamo inoltre implementato i servizi di consegna dei farmaci ospedalieri direttamente sul territorio, così da evitar loro un passaggio in ospedale. Sul territorio solo in alcuni momenti è stata segnalata una relativa carenza di idrossiclorochina».
Filo diretto paziente/medico – «Nei centri reumatologici gli specialisti hanno mantenuto rapporti con i pazienti via e-mail o tramite telefono – assicura il prof. Luigi Sinigaglia – mentre i pazienti che avevano necessità di rinnovo dei piani terapeutici per alcuni farmaci sono stati dispensati da questo onere grazie a una nota di Aifa che ha prorogato le scadenze. Sono proseguite, invece, le attività ambulatoriali per quei pazienti che dovevano ritirare presso i centri ospedalieri i farmaci più avanzati come i biotecnologici o le piccole molecole. Inoltre, come Sir stiamo per promuovere una piattaforma che sarà pronta entro due settimane devoluta alla telemedicina».
«Nell'ospedale di Legnano – ancora il prof. Antonino Mazzone – siamo riusciti a mantenere attivo il servizio di Reumatologia, garantendo la prosecuzione delle cure ai pazienti con dolore cronico reumatico con farmaci biotecnologici o terapie salvavita, e tutte le prestazioni ambulatoriali urgenti e non altrimenti demandabili. Nei reparti Covid-19 sono state inoltre create mini-equipe con lo specialista reumatologo che fa anche attività di consulenza per utilizzo dei farmaci antireumatici. Abbiamo allungato gli intervalli tra un controllo e quello successivo ed attivato un servizio telefonico di gestione costante dei pazienti stabili ed in terapia cronica da tempo, così da poter rimandare il loro accesso in ospedale ad emergenza conclusa.
Tutti i miei specialisti reumatologi si sono resi disponibili telefonicamente e con e-mail. È stata creata una rete con i medici di medicina generale mediante l'attuazione di protocolli condivisi al fine di limitare gli accessi dei pazienti fragili». «Il lockdown – conclude Sinigaglia – può avere avuto effetti negativi sull'attività fisica che molti pazienti devono seguire per mantenere la buona funzione articolare e scheletrica. Problemi che hanno complicato la vita dei pazienti e delle loro famiglie. Per questi motivi abbiamo cercato, anche in collaborazione con le Associazioni dei Pazienti, di essere il più vicini possibile ai malati dando consigli, rispondendo a domande comuni (consultabili sul sito della Sir) e confortando queste persone nella certezza che a breve sarà di nuovo possibile accedere ai presidi ospedalieri per continuare una assistenza capillare».
Il dolore peggiore è la solitudine: per contrastare questo senso di abbandono che la concentrazione dell'informazione sul Coronavirus ha generato tra le persone affette da dolore benigno e patologie reumatiche, Alfasigma, azienda leader con una forte specializzazione nelle aree ortopedia e reumatologia, ha avviato l'iniziativa “Alfasigma News&service: l'informazione verificata ai tempi del Coronavirus” che vuole trasmettere vicinanza ai pazienti con dolore cronico reumatico e ai loro familiari con notizie utili e certificate. “Alfasigma News&service” tratterà, con l'aiuto di esperti, tutti quegli argomenti inerenti alle patologie reumatiche connessi al Covid-19 su cui si è riscontrata una carenza di comunicazione, mettendo il paziente nella condizione di poter essere protagonista attivo nel proprio percorso di cura e di poter migliorare la propria aderenza terapeutica.