Roma, 14 mag. – Msd Animal Health continua la campagna #AlTuoFianco, pensata per supportare tutti gli attori coinvolti nel campo della salute animale, con un nuovo appuntamento digitale. Per la prima volta, si è voluto rivolgere la discussione al consumatore, con la collaborazione di tutti gli operatori della filiera, tra i quali allevatori e medici veterinari che, con il loro lavoro quotidiano, garantiscono la salubrità e la sicurezza dei prodotti alimentari. Il webinar 'La filiera agroalimentare ai tempi del coronavirus: prospettive future a seguito dell'emergenza' ha coinvolto personaggi di spicco del comparto con l'obiettivo di discutere l'impatto dell'attuale emergenza Covid-19 sulla filiera agroalimentare, promuovendo la corretta informazione e facendo chiarezza sulle tematiche più discusse: dal vissuto del consumatore alla riorganizzazione del lavoro nelle aziende della filiera, al ruolo del made in Italy nella futura ripresa.
"I consumatori hanno vissuto tre grandi preoccupazioni: il timore che il virus potesse essere trasmesso dal cibo, la sicurezza degli alimenti di origine animale e l'approvvigionamento personale", ha raccontato Agostino Macrì, responsabile sicurezza alimentare dell'Unione nazionale consumatori. Sul primo aspetto ha rassicurato Sergio Rosati, del Dipartimento Scienze Veterinarie dell'Università di Torino, mettendo un punto definitivo sulla possibile trasmissione del virus da parte di bovini, suini o pollame: “Le specie di interesse zootecnico non si ammalano, non sieroconvertono, ossia non producono anticorpi, e quindi non giocano nessun ruolo come veicolo di questa infezione".
In merito, invece, alla sicurezza degli alimenti di origine animale, gli esperti hanno ricordato che le misure precauzionali del settore alimentare in Italia sono già di per sè stringenti e severe grazie al sistema di Haccp. Tutti i rappresentanti delle associazioni di categoria intervistati si sono trovati d'accordo nel dire che le realtà produttive della filiera agroalimentare sono già organizzate secondo “rigidissime norme igienico-sanitarie”, con un personale già “abituato a mascherine, tute e a seguire misure estremamente restrittive”, aspetto che ha facilitato l'adattamento alla situazione di emergenza. Sin dai primi giorni, ha spiegato Lara Sanfrancesco, direttore Unaitalia, c'è stato un grande dispiegamento di forze per mettere in sicurezza i lavoratori e applicare protocolli molto stringenti. È stato necessario rallentare i turni, garantire il distanziamento, riconvertire parte della produzione. Tutto questo è stato fatto in tempi molto rapidi e ha significato un grande impegno economico che non è stato riversato sui prodotti ma è stato assorbito dalla filiera, sempre nell'ottica di stare accanto al consumatore.
Questo senso di responsabilità ha garantito un approvvigionamento costante, rispondendo quindi a un'altra delle principali preoccupazioni dei consumatori. Infatti, la produzione di alimenti di origine animale, quali bovini, ovini, avicoli e prodotti caseari, non si è mai fermata. Anzi, soprattutto nella prima fase della pandemia, tutti gli impianti produttivi hanno affrontato una grande richiesta da parte dei consumatori, come ha spiegato François Tomei, direttore di Assocarni. Nonostante il lavoro non sia mai stato interrotto, l'intero comparto ha tuttavia subito notevoli danni. Basti pensare “all'immediata diminuzione di circa il 20-25% della capacità di macellazione a causa delle numerose assenze dei lavoratori nelle aziende che si trovavano nelle zone più colpite”, citata da Davide Calderone, direttore Assica, o alla chiusura del canale Horeca e del Food service – settori che rappresentano il 25% del fatturato delle aziende associate – che ha generato una grossa diminuzione della domanda di prodotti finiti.
Proprio questa chiusura “ha portato a una diminuzione del fatturato del 30%”, ha affermato Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia e amministratore delegato Inalca Spa, che ha offerto uno spaccato importante sulla crisi vissuta dalle eccellenze made in Italy rappresentate dal comparto dei vini, dei salumi – di cui l'Italia è il principale esportatore – e dei formaggi che hanno registrato un calo rispettivamente del -40%, -35% e del -45%, e ha dichiarato una decrescita del 13% sull'export, a causa dell'inattività nei paesi partner delle attività di ristorazione: prime tra tutte quelle in Germania, Stati Uniti e Francia. È il made in Italy, quindi, ad essere la realtà da preservare e da cui ripartire per far fronte a questa situazione: di questo gli intervistati sono tutti convinti, inclusi i portavoce delle Gdo. Claudio Mazzini, responsabile settore freschissimi Coop Italia, ha raccontato che “per Coop da sempre il made in Italy è un punto fermo, specialmente quando si parla di prodotti freschi e di carni di ogni filiera: basti pensare alle carni avicole, per cui l'approvvigionamento italiano vale il 99,8% del totale". Ed è da qui che si darà il via alla ripartenza.
“Quello che auspichiamo dalle istituzioni e dal governo è un supporto non in termini di contributi diretti ma di aiuto nella promozione e nella difesa del made in Italy, ricordando che la maggior parte delle aziende agricole italiane non sono grandi gruppi industriali e avrebbero difficoltà a riprendersi qualora la crisi si esacerbasse. E in Italia, quando muore un'azienda agricola, muore con essa una tradizione”, ha detto Claudio Destro, vicepresidente Associazione italiana allevatori e amministratore delegato di Maccarese Spa.
Sul tema del made in Italy una risposta concreta è già arrivata dal Consorzio Sigillo Italiano che, come ha riferito il direttore Giuliano Marchesin, “può divenire un simbolo di eccellenza e qualità italiana immediatamente visibile al consumatore". Una riprova è la recente esperienza di partnership con la catena il Gigante, dove la vendita di carne a marchio Sigillo Italiano ha registrato un aumento del 15% dall'inizio della pandemia. Per affrontare le sfide future e continuare a garantire un adeguato rapporto qualità-prezzo dei prodotti italiani, è quindi imprescindibile mettere in atto una logica di sistema, basata su un dialogo costante tra tutti gli attori coinvolti: produttori, catena di distribuzione e consumatori. È esattamente questo lo spirito che guida anche Msd Animal Health Italia, come ha spiegato Paolo Sani, amministratore delegato: “Abbiamo deciso di organizzare un evento come questo con l'obiettivo di fare sistema e creare un'unica voce per rispondere a tutte le incertezze del consumatore, a tutte le domande a cui sta cercando risposta. È questo lo scopo di Msd Animal Health. La nostra sfida è difendere questo mercato, fatto di aziende e persone con alta professionalità che si impegnano giorno dopo giorno per portare cibo sano e buono sulle tavole degli italiani".
“Nel settore agroalimentare è intuitivo il concetto di One Health, noi vediamo, quindi, la salute a 360 gradi: uomo, animale, ambiente. È un concetto per noi molto importante ed è per questo che stiamo facendo investimenti sia a livello produttivo, sia a livello di ricerca sui singoli prodotti per ridurre il più possibile l'impatto sull'ambiente”, ha concluso Paolo Sani. Anche il delicato tema ambientale ha trovato spazio nell'ambito dell'incontro, con l'intervento di Giacomo Pirlo, dirigente di ricerca del Crea (Centro di ricerca di zootecnica e acquacoltura di Lodi), che ha condiviso i dati relativi all'Italia per "il contributo di allevamenti e agricoltura alle emissioni di gas serra, che è solo del 7%, al contrario di quanto si legge spesso sul web" e ha concluso affrontando il tema delle PM10 in modo concreto: "Un problema che deve ed è continuamente affrontato per studiarne un miglioramento. Il ministero delle Politiche agricole ha pubblicato infatti delle linee guida per la riduzione delle emissioni e ci sono diverse azioni che possono essere messe in atto". Un'affermazione che conferma l'impegno costante della filiera, degli allevatori e dei medici veterinari per garantire un sistema virtuoso di benessere per tutti i suoi protagonisti, primi tra tutti consumatori, ambiente e animali.