Milano, 1 giu. – "L'altra faccia della medaglia della stagionalità" di Covid-19, "che oggi ci sorride aiutando a sbarazzarci da Sars-CoV-2, è la notevole possibilità che l'infezioni ritorni a fine autunno inizio inverno e si rimetta a causare infezioni più severe di oggi perchè legate a inoculi con cariche virali più elevate". Lo spiega il virologo Guido Silvestri, precisando che "questo punto non può essere omesso, perchè essere ottimisti non significa essere dei giuggioloni che ridendo e scherzando vanno a schiantarsi contro un muro". Ma "anche che se il virus tornasse a dicembre, cosa probabile ma non sicura – sottolinea – stavolta lo accoglieremo con un tridente potente di monitoraggio, preparazione e migliori terapie, in modo tale che mai si ripetano i disastri del marzo 2020".
Nella sua rubrica social 'Pillole di ottimismo', lo scienziato italiano che insegna negli Usa alla Emory University di Atlanta fa notare che la stagionalità "non l'abbiamo scoperta adesso ma 2.500 anni fa", quando "il grande Ippocrate, il medico del famoso 'giuramento', scriveva che parecchie malattie infettive risultano più comuni durante certe stagioni dell'anno". Anche Covid-19 è una malattia stagionale? "Se fai questa domanda a Stan Perelman e Ralph Baric, che stanno ai coronavirus come Pelè e Maradona stanno al calcio – scrive Silvestri – ti rispondono ridendo" che certamente è così: "Of course, this disease is going to be seasonal'.
Ma se senti certi esperti da bar, che sanno di coronavirus come io so di ingegneria spaziale, trovi affermazioni strane, come se ci fosse una specie di strano 'negazionismo' della stagionalità che francamente mi lascia perplesso".
A sostenere l'ipotesi che Sars-CoV-2 sia un virus stagionale ci sono per Silvestri diversi elementi. "Il primo da considerare è la chiara stagionalità dei quattro coronavirus endemici nella popolazione umana". Il virologo ricorda anche che "Sars-CoV-1, l'agente responsabile della prima Sars, arrivò a novembre e sparì guarda caso a giugno. Sono indizi certo, ma piuttosto forti. Immaginate di aver scoperto un nuovo felino che ha i denti di una tigre, gli artigli di un leone, la pelliccia di un leopardo, i baffi di un puma e così via. Secondo voi, anche se non lo abbiamo mai visto mangiare, sarebbe azzardato prevedere che si nutra di carne e non di erba?".
"Il secondo elemento da considerare – prosegue l'esperto – è che Covid-19 sembra essere meno letale dove fa più caldo, soprattutto se unito a bassa umidità relativa. Un chiaro gradiente di letalità sull'asse Nord Sud si è manifestato in Italia, dove oltre il 90% dei morti sono stati nelle regioni sopra Toscana e Marche (comprese), dove vive il 55% della popolazione italiana, mentre dal Lazio in giù si sono verificati meno del 10% dei decessi. Un simile gradiente si è verificato tra Nord e Sud della Spagna, tra Nord Est e Sud Ovest della Francia, e negli Stati Uniti, dove gli stati del Nord che raccolgono il 45% della popolazione hanno visto il 79% dei decessi, contro il 21% dei decessi negli stati del Sud che raccolgono il 55% della popolazione americana".
Silvestri analizza poi "il caso di Canada e Australia, due Paesi lontani ma simili" per distribuzione della popolazione, sistemi di governo, servizio sanitario pubblico e universale, provvedimenti analoghi messi in atto in tempi simili di fronte alla pandemia. "Le prime morti da Covid i sono verificate in entrambi i Paesi il 9 marzo e il 10 marzo c'erano 98 casi attivi in Canada e 107 in Australia". Però "dopo oltre 2 mesi, a fine maggio, il Canada ha 90.179 casi e 7.073 morti accertati, mentre l'Australia ha 7.185 e 103 morti". Infine c'è "la bassa letalità di Covid-19 in Paesi dal clima caldo e secco. Mentre il Brasile, che ha zone ad alta umidità e va verso il pieno inverno, ha una mortalità abbastanza alta".
Ma come funziona la stagionalità? Silvestri spiega "innanzitutto che la teoria classica secondo cui il clima caldo e secco protegge da Covid-19 e dai virus respiratori in generale prevede che le alte temperature e bassa umidità relativa portino non solo meno infezioni, ma anche un decorso clinico meno grave, in quanto inoculi virali più piccoli sono meno capaci di raggiungere i polmoni, come dimostrato in vari modelli animali".
Ancora, "ricordo che quando si dice 'a questo virus non piace caldo' non ci riferisce alla temperatura a cui il virus stesso viene disattivato, ma alle temperature che rendono instabili attraverso rapida evaporazione le goccioline" emesse con saliva, starnuti e tosse, "che trasportano il virus nell'ambiente. Questo meccanismo è noto ai virologi da decenni e spiega perchè tutte le infezioni virali respiratorie sono altamente stagionali, con chiarissima predilezione per l'inverno".
Infine, per Silvestri "è importante ricordare come fattori di tipo comportamentale (si tende a stare più vicini quando fa freddo e più lontani quando fa caldo) e legati alla fisiologia dell'apparato respiratorio (le temperature fredde sembrano ridurre la clearance muco-ciliare e forse anche altre funzioni difensive della mucosa respiratoria) contribuiscono in modo potenzialmente importante al fenomeno della stagionalità dei virus respiratori in generale e dei coronavirus in particolare".