Roma, 24 giu. – Un gel fotosensibile in grado di solidificare se esposto a un raggio laser capace di attraversare i tessuti del corpo senza danneggiarli. Grazie al controllo tridimensionale del laser è possibile creare o stampare oggetti solidi all'interno del corpo di un organismo vivente. E' la ricerca messa a punto da un team dell'Università di Padova e Vimm pubblicato su 'Nature Biomedical Engineering'. Questa particolare applicazione dalla stampa 3D in ambito biomedico è chiamata '3D bioprinting'. Sebbene ancora in fase di sviluppo, si suppone che in un futuro il '3D bioprinting' possa rappresentare la nuova frontiera del trapianto di tessuti e di organi. I tessuti 'stampati' in laboratorio, potrebbero infatti venire successivamente trapiantati mediante chirurgia nei pazienti che necessitano di un nuovo tessuto.
"Il gel in forma liquida può essere iniettato nei tessuti di un animale vivo ed essere solidificato in strutture definite dall'esterno del corpo mediante l'esposizione a una luce emessa da un laser che è in grado di attraversare i tessuti senza danneggiarli", precisano i ricercatori. Questo gel può "essere combinato con cellule donatrici, iniettato nel sito anatomico di interesse e usato per generare nuovo tessuto senza dover sottoporre l'animale a particolari pratiche chirurgiche – aggiungono – Questa nuova tecnologia è stata chiamata 'intravital 3D bioprinting o i3D bioprinting' in quanto consente di effettuare la stampa 3D all'interno dei tessuti viventi".
Lo studio pone delle nuove basi per lo sviluppo futuro di tecniche di chirurgia non invasiva per riparare e ricostruire gli organi di pazienti affetti da patologie rare e complesse. Poichè questo biogel può essere utilizzato "come inchiostro biologico per 'stampare' diversi tessuti nella forma desiderata, la sua potenziale applicazione riguarda le strategie di terapia cellulare personalizzata e di 'precision medicine' in ambito di medicina rigenerativa", puntualizza la ricerca. "Le tecniche più innovative di bioprinting 3D richiedono l'accesso diretto al tessuto della penna per la biostampa tridimensionale, di conseguenza, il controllo della forma e struttura del tessuto stampato è limitato a parti del corpo facilmente accessibili come la pelle. Siamo davvero entusiasti del fatto che la nostra tecnica (che abbiamo nominato intravital 3D bioprinting) permetta di visualizzare con altissima risoluzione la parte anatomica di interesse e stampare tessuti nella posizione e della forma desiderati", spiega Nicola Elvassore, coordinatore dello studio, il cui team di ricerca opera tra Università di Padova e Istituto Veneto di Medicina molecolare (Vimm).
"Questo studio rappresenta una delle sfide più grandi ed entusiasmanti della mia carriera. Infatti, per raggiungere i risultati ottenuti è stato necessario fondere insieme tecnologie emergenti e multidisciplinari – osserva Anna Urciuolo, primo autore dello studio, ricercatrice presso il Vimm – La coordinazione di tali approcci di ricerca ha permesso di superare i limiti che esistevano nell'applicazione del 3D bioprinting in modelli viventi. Grazie alla possibilità di poter 'stampare' all'interno di tessuti viventi, siamo stati in grado di controllare spazialmente il 'delivery' di cellule staminali muscolari, aumentando la loro abilità di generare nuovo tessuto muscolare". In una prima fase i ricercatori hanno combinato il gel con le cellule donatrici selezionate in base al tipo di tessuto su cui intervenire. Il biogel così composto è stato quindi iniettato nell'area di interesse mediante l'uso una semplice siringa. Successivamente, una speciale luce è stata diretta nell'area di interesse dall'esterno del corpo. Il biogel sensibile ad una specifica lunghezza d'onda della luce è in grado di creare dei legami e solidificare intrappolando al suo interno le cellule donatrici, generando quindi un tessuto che si adatta e connette a quelli circostanti.
L''intravital 3D bioprinting' è stata utilizzata per generare nuovo tessuto senza causare danni agli organi o tessuti circostanti. Inoltre, questa procedura "non genera nessun prodotto secondario che possa rimanere nel corpo e ha il potenziale di poter essere utilizzato per localizzare delle cellule donatrici nel tessuto ricevente – chiosano i ricercatori – Questo approccio potrebbe essere rivoluzionario nei casi dove le cellule dei pazienti non siano in grado di riparare o ricostruire un tessuto danneggiato o mancante". Sebbene ancora in una fase pre-clinica, questo tipo di ricerca di ingegneria tissutale "potrebbe portare allo sviluppo di nuove terapie per i pazienti con complesse condizioni fisiche, in particolare in pazienti che hanno danni a organi o tessuti, oppure a interventi di altissima precisione in cui la forma del tessuto rigenerato sia intimamente legata alla sua funzione, ad esempio nelle terapie oftalmiche o approcci di neurochirurgia", conclude lo studio.