Città del Vaticano, 6 ago. – di Enzo Bonaiuto
Il battesimo celebrato dal sacerdote con la formula “Noi ti battezziamo, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, dove quel “noi” evoca esplicitamente o implicitamente genitori, padrini e madrine, nonni, familiari, amici e fedeli della comunità parrocchiale, non è valido e il rito va compiuto nuovamente con la 'giusta' formula che il sacerdote è tenuto a pronunciare, ovvero: “Io ti battezzo, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, in quanto quel “io” richiama la presenza stessa di Cristo. E' quanto stabilisce la Nota Dottrinale emessa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, firmata dal presidente cardinale Luis Ladaria e dal segretario monsignor Giacomo Morandi, dopo la diretta approvazione di Papa Francesco.
Spiegando le motivazioni del suo intervento, il Dicastero Vaticano osserva che “recentemente, vi sono state celebrazioni del Sacramento del Battesimo amministrato con le parole 'A nome del papà e della mamma, del padrino e della madrina, dei nonni, dei familiari, degli amici, a nome della comunità, noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo'. A quanto sembra, la deliberata modifica della formula sacramentale è stata introdotta per sottolineare il valore comunitario del Battesimo, per esprimere la partecipazione della famiglia e dei presenti e per evitare l'idea della concentrazione di un potere sacrale nel sacerdote a discapito dei genitori e della comunità, che la formula presente nel Rituale Romano veicolerebbe. Riaffiora qui, con discutibili motivazioni di ordine pastorale, un'antica tentazione di sostituire la formula consegnata dalla Tradizione con altri testi giudicati più idonei”.
Ma il Concilio Vaticano II asserisce che “quando uno battezza, è Cristo stesso che battezza”. Dunque, spiega la Congregazione per la Dottrina della Fede, “la Chiesa, quando celebra un Sacramento, agisce come Corpo che opera inseparabilmente dal suo Capo, in quanto è Cristo-Capo che agisce nel Corpo ecclesiale. I Sacramenti, infatti, in quanto istituiti da Gesù Cristo, sono affidati alla Chiesa perchè siano da essa custoditi”.
Dunque, “appare evidente che la Chiesa, sebbene sia costituita dallo Spirito Santo interprete della Parola di Dio e possa in una certa misura determinare i riti che esprimono la grazia sacramentale offerta da Cristo, non dispone dei fondamenti stessi del suo esistere: la Parola di Dio e i gesti salvifici di Cristo. Risulta pertanto comprensibile come nel corso dei secoli la Chiesa abbia custodito con cura la forma celebrativa dei Sacramenti, soprattutto in quegli elementi che la Scrittura attesta e che permettono di riconoscere con assoluta evidenza il gesto di Cristo nell'azione rituale della Chiesa”.
Sempre il Concilio Vaticano II ha inoltre stabilito che “nessuno, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunchè in materia liturgica”. Ecco allora che “modificare di propria iniziativa la forma celebrativa di un Sacramento non costituisce un semplice abuso liturgico, come trasgressione di una norma positiva, ma un 'vulnus' inferto a un tempo alla comunione ecclesiale e alla riconoscibilità dell'azione di Cristo, che nei casi più gravi rende invalido il Sacramento stesso, perchè la natura dell'azione ministeriale esige di trasmettere con fedeltà quello che si è ricevuto”.
Pertanto, nel caso specifico del Sacramento del Battesimo, il sacerdote, sottolinea la Congregazione per la Dottrina della Fede, “non solo non ha l'autorità di disporre a suo piacimento della formula sacramentale, ma non può nemmeno dichiarare di agire a nome dei genitori, dei padrini, dei familiari o degli amici e nemmeno a nome della stessa assemblea radunata per la celebrazione, perchè il ministro agisce in quanto segno-presenza dell'azione stessa di Cristo che si compie nel gesto rituale della Chiesa. Quando il ministro dice 'Io ti battezzo…' non parla come un funzionario che svolge un ruolo affidatogli, ma opera ministerialmente come segno-presenza di Cristo”.
Per il Dicastero Vaticano, “alterare la formula sacramentale significa, inoltre, non comprendere la natura stessa del ministero ecclesiale, che è sempre servizio a Dio e al suo popolo e non esercizio di un potere che giunge alla manipolazione di ciò che è stato affidato alla Chiesa con un atto che appartiene alla Tradizione”.
E' Cristo che, attraverso la formula pronunciata dal sacerdote, battezza. Per dirla con sant'Agostino, 'Dottore della Chiesa', “battezzi pure Pietro, è Cristo che battezza; battezzi Paolo, è Cristo che battezza; e battezzi anche Giuda, è Cristo che battezza”.