Individuare nanoparticelle terapeutiche capaci di trasportare farmaci o di stimolare la risposta immunitaria antitumorale. E' obiettivo del progetto 'Dirnano' che per 4 anni coinvolgerà 12 istituzioni scientifiche italiane e europee, con 15 ricercatori e 4 milioni di euro di finanziamento, e sarà coordinato dall'università di Padova. Le nanoparticelle dovranno essere in grado di sfuggire al sistema immunitario del paziente o, al contrario, di sfruttarne la sua attivazione. Sarà Emanuele Papini, dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova, a coordinare scientificamente le istituzioni (università, istituti di ricerca e imprese distribuiti nel continente europeo dalla Scandinavia, al Regno Unito, fino alla penisola iberica) che ospiteranno un totale di 15 giovani ricercatori per superare l'impasse attualmente esistente che impedisce l'invenzione e l'applicazione efficace di nanomedicine utili alla cura di malattie umane mortali, come la neoplasia maligna.
"La nanomedicina, cioè l'idea di costruire e usare piccoli oggetti delle dimensioni intorno a un decimo di micron o meno per trasportare in modo mirato agenti curativi o per individuare ed eliminare cellule malate o tessuti alterati, ha suscitato grandi entusiasmi, specie nell'ultimo decennio – Emanuele Papini – Il progetto Dirnano, che ha per obiettivo individuare nanoparticelle antitumorali terapeutiche capaci di trasportare farmaci o stimolanti la risposta immune antitumorale, si attuerà mediante lo studio sistematico delle proprietà di nanoparticelle di varia natura chimica e ricoperte con polimeri, lipidi o pattern molecolari vari". "Andremo a vedere – continua Papini – come le difese istantanee e preesistenti del nostro organismo, normalmente dedicate alla eliminazione di microorganismi o cellule alterate, reagiranno contro la nostra batteria di nanoparticelle. Può infatti accadere, e questa è la nostra ipotesi centrale, che le nanoparticelle siano riconosciute come estranee dal nostro sistema difensivo o innato, cioè che siano scambiate per batteri o virus oppure per 'cadaveri cellulari', oggetti potenzialmente pericolosi e comunque da intercettare ed eliminare".
"Vogliamo quindi studiare – sottolinea lo studioso – come certi agenti difensivi del nostro corpo 'leggono' la superficie delle nanoparticelle per capire che cosa è riconosciuto come uguale o simile ai microorganismi e perchè. Una volta che avremo compreso quali caratteristiche molecolari di superficie favoriscono o meno l'interazione con le proteine di difesa umane – conclude – avremo uno strumento potente per modulare o dirigere nanoparticelle cariche di agenti terapeutici o diagnostici o contenenti antigeni tumorali verso i loro target cellulari".