Roma – Si sta ancora sciogliento il ghiaccio artico. Il ghiaccio marino artico è sceso sotto i 4 milioni di chilometri quadrati per la seconda volta da quando sono iniziate le registrazioni satellitari nel 1979. A riferirlo il National Snow and Ice Data Center degli Stati Uniti. Il ghiaccio ha raggiunto la sua superficie minima annuale di 3,74 milioni di chilometri quadrati il 15 settembre e ora si prevede che inizi a espandersi di nuovo con l'inizio dell'autunno e le temperature che cominciano a scendere e il Sole che tramonta prima. Il ghiaccio marino artico ha una tendenza generale alla contrazione, con le 14 superfici minime annuali più basse che si sono verificate tutte negli ultimi 14 anni. Gli ambientalisti avvertono che l'aumento dello scioglimento sta contribuendo al riscaldamento degli oceani e all'aumento dei tassi di estinzione.
"È stato un anno pazzesco al nord, con il ghiaccio marino a un minimo quasi record, ondate di calore di 37 gradi Celsius in Siberia e massicci incendi boschivi – osserva il direttore dell'Nsidc Mark Serreze – Ci stiamo dirigendo verso un Oceano Artico stagionalmente senza ghiacci e quest'anno è un altro chiodo nella bara". Le misurazioni pubblicate lunedì – avverte l'Nsidc – sono solo una scoperta preliminare e potrebbero essere riviste poichè il continuo scioglimento potrebbe ridurre ulteriormente la copertura del ghiaccio. Un'analisi finale è stata annunciata per ottobre. "La rapida scomparsa dei ghiacci marini è un chiaro segnale di quanto il nostro Pianeta sia in pericolo. Con lo scioglimento dell'Artico, l'oceano assorbe più calore e tutti noi diventiamo più esposti agli effetti devastanti dell'emergenza climatica", sottolinea Laura Meller, campagna Oceani di Greenpeace Nordic, in questo momento a bordo della nave Arctic Sunrise impegnata in una spedizione proprio tra i ghiacci marini dell'Artico.
"La calotta artica è un oceano ghiacciato che ha urgente bisogno di protezione e i leader mondiali devono comprendere il ruolo degli oceani nell'affrontare la crisi climatica – continua Meller – Oceani sani sono cruciali per alcune delle popolazioni più emarginate del mondo, che subiscono l'impatto della distruzione degli ecosistemi marini e dei cambiamenti climatici. Dobbiamo cambiare subito il nostro modo di prenderci cura l'uno dell'altro e del nostro Pianeta. Dobbiamo proteggere almeno il 30% dei nostri oceani entro il 2030 anche per far fronte alla crisi climatica", conclude.
Oceani sani contribuiscono a ridurre gli impatti della crisi climatica, tenendo il carbonio al di fuori dell'atmosfera in modo sicuro – spiega Greenpeace in una nota – Proteggendo almeno il 30% degli oceani con una rete di santuari, gli ecosistemi marini possono diventare più resilienti e resistere meglio ai rapidi cambiamenti climatici. Gli scienziati hanno identificato l'Artico come una delle aree prioritarie che necessitano di protezione come parte di una rete globale di santuari oceanici, data la sua vitale importanza per la stabilità del clima.