ROMA – La prima ondata della pandemia ha avuto per epicentro il Nord. La crisi economica si è però presto estesa al Mezzogiorno dove con più drammaticità si è tradotta in emergenza sociale incrociando un tessuto produttivo più debole, un mondo del lavoro più frammentario e una società più fragile. Ogni mese di lockdown è costato quasi 48 miliardi, il 3,1% del Pil italiano, oltre 37 dei quali persi al Centro-Nord (3,2% del Pil) e quasi 10 nel Mezzogiorno (2,8% del Pil). E’ quanto emerge dal Rapporto Svimez 2020 sull’economia e la società del Mezzogiorno. Il Pil del Mezzogiorno risulterebbe a fine 2020 al di sotto del suo picco minimo del 2014 e inferiore di 15 punti percentuali rispetto al 2007 (il Centro-Nord di circa 7).
Inoltre, nel 2020 il Pil italiano si contrarrà del 9,6%. L’arretramento più marcato nel Centro-Nord, con un calo del 9,8%, nelle regioni meridionali sarà del 9%. Nelle regioni meridionali il secondo lockdown ha accresciuto le difficoltà di attività e pezzi di occupazione in posizione marginale (sommerso, nero, irregolari). Di qui la caduta del reddito disponibile delle famiglie del -6,3% che si trasmette ai consumi privati, con una contrazione al Sud pari al -9,9% superiore a quella del Centro-Nord (-9%). Mentre la base produttiva meridionale non ha ancora recuperato i livelli antecedenti la ’’lunga crisi’’, specie nel comparto industriale.
La Svimez prevede che il Pil cresca nel 2021 al Sud dell’1,2% e nel 2022 dell’1,4% e al Centro-Nord del 4,5% nel 2021 e del 5,3% l’anno successivo. La conseguenza è che la ripresa sarebbe segnata dal riaprirsi di un forte differenziale tra le due macro aree.