FIDANZAMENTO E MATRIMONIO FINE ANNI ’50 IN UNA SICILIA ANCORA PRETTAMENTE RURALE
Cu ha dinari assai sempri cunta e cu havi ‘a muggheri bedda sempri canta… (Chi ha tanti soldi conta sempre, chi ha una bella moglie canta sempre…) proverbio siciliano. La cultura e le tradizioni passate sono certamente le basi che creano le attuali società. È bene non perderle, ma portarle avanti nel tempo se non nei fatti almeno nel ricordo. È proprio quello che mi sono proposto di fare con questo certosino lavoro "Matrimonio a Ragusa Ibla negli anni '50". Una ricerca impegnativa che mi ha permesso di scoprire un mondo affascinante, fatto di tradizioni e curiosità di un periodo che non è poi molto lontano da noi e che ha visto come protagonisti anche i nostri genitori e nonni!
Attraverso interviste fatte ai genitori e agli anziani del quartiere degli Archi (Ragusa Ibla), sono riuscito a raccogliere sufficienti informazioni per iniziare il codesto lavoro e per sviluppare una raccolta ricca ed interessante sulle tradizioni. Ho cominciato ad analizzare il fidanzamento e il matrimonio combinato di una volta. Bisogna sapere, infatti, che l’unione tra un ragazzo ed una ragazza era spesso vincolato da motivazioni ben diverse dall’amore e che i genitori costringevano spesso i propri figli a fidanzarsi e a sposarsi per interessi economici o sociali. Le ragazze promesse in matrimonio non potevano assolutamente opporsi alla volontà familiare ed erano quindi costrette a sposare l’uomo non amato.
Normalmente il matrimonio combinato avveniva in questo modo: la madre dello sposo sceglieva la ragazza per il proprio figlio, chiamava “U Sinsali” (l’ambasciatore del quartiere) e lo inviava a casa della ragazza per fare al padre la richiesta della mano della figlia. Il padre, esaminata la proposta, dava la risposta e, dopo aver preso la decisione, la comunicava alla propria figlia. Da quel momento in poi, ella avrebbe dovuto mantenere atteggiamenti riservati in pubblico ed a casa. Inoltre, ai giovani promessi sposi era vietato vestire abiti succinti e uscire di casa da soli, ma dovevano essere sempre accompagnati da qualcuno.
Secondo momento importantissimo era quella del fidanzamento ufficiale, che avveniva prima dell’unione matrimoniale. In questa occasione, chiamata tradizionalmente “a trasuta’”, cioè “l’entrata”, le famiglie dei due fidanzati si conoscevano e, con un ricevimento fatto a casa della sposa, rendevano “ufficiale” la relazione dei figli, non solo tra di loro, ma soprattutto all’intero paese. Singolare è l’esempio della “carta ra doti”, che elencava la dote che le ragazze dovevano possedere al momento del matrimonio (lenzuola, coperte, tovaglie, strofinacci, mobili, terreni, ecc.). Spesso, durante questi incontri le famiglie litigavano e la figura della mamma dello sposo emergeva per la sua arroganza e per le sue pretese, distinguendosi dalla mamma della sposa, che sembrava più remissiva e più propensa ad assecondare la consuocera, sempre possessiva nei confronti del figlio maschio. Molto spesso si scatenavano litigi che portavano alla rottura del fidanzamento; in quel caso, si cercavano velocemente altri sostituti, perché la mentalità del tempo non vedeva di buon occhio gli uomini e le donne non sposati.
Dopo il fidanzamento si passava agli accordi per il giorno del matrimonio: inviti ed invitati, festeggiamenti, pranzo. Singolare era la consegna degli inviti. I genitori degli sposi, generalmente i padri, andavano personalmente ad invitare i parenti e gli amici per ben tre volte! La prima per informare della data del giorno del matrimonio, la seconda per confermare la data e la terza per prendere la risposta dei partecipanti al matrimonio. I festeggiamenti duravano tre giorni: il primo giorno si festeggiava a casa della sposa con amici e parenti, il secondo e il terzo a casa dello sposo, sempre con amici e parenti.
I MIEI RICORDI INIZIO ANNI ‘60
Quando ero piccolo – avevo sei anni o poco più – mio padre che faceva il barbiere (bisogna dire che in quel periodo il barbiere oltre al taglio e alla rasatura della barba si cimentava in altri poliedrici mestieri: dentista, svolgeva salassi con le sanguisughe, mediatore di compravendite e musicista per serenate e matrimoni) per diletto suonava la chitarra, a volte veniva chiamato per suonare nei matrimoni e generalmente mi portava con lui in questi eventi che mi apparivano spettacoli straordinari. Il divertimento maggiore era quello che si provava agli intrattenimenti: mio padre vi era spesso invitato ad esibirsi previo un modesto compenso. Si festeggiava alla meglio… erano tempi difficili del dopoguerra: la veste nuziale veniva presa a nolo e, a festa conclusa, la modista, che spesso seguiva la sposa, si riportava l’abito, che sarebbe servito per un altro matrimonio, magari nello stesso giorno. L’addobbo floreale consisteva in due ghirlande a mo’ di corona, che si reggevano su un cavalletto come quello di un pittore ma fatto di canne, che a ripensarci mi sapeva di mortorio. Queste ghirlande, terminato il rito, venivano trasportate nello studio del fotografo, dove gli sposi venivano ripresi davanti a un fondale dipinto, con tanto di cornice floreale. Non ricordo la presenza del fotografo in chiesa o al ricevimento che era molto spartano: il pezzo forte consisteva in genere in una torta rotonda a strati disposta su un’alzata d’acciaio, con in cima due piccoli sposi a braccetto, immancabili anche ai nostri giorni. Dopo, il classico gelato – il famoso “pezzo duro del caffè Talmone” -, i confetti e tutto era finito.
A trattenimento concluso gli sposi venivano subito accompagnati dai più intimi alla loro nuova dimora (raramente si andava in viaggio di nozze): la brama di consumare era infatti più forte d’ogni altra cosa, dato che durante il fidanzamento la famiglia della ragazza la teneva sotto strettissima sorveglianza, non dando nessuno spazio all’intimità tra i due.
I due aneddoti curiosi (tutto ritorna…)
Era il 1978 mi trovavo a svolgere il servizio di leva presso il 1° Battaglione Bersaglieri” La Marmora” a Civitavecchia! Un anno indelebile nella mia mente, un’esperienza intensa e in complesso molto formativa sotto molteplici aspetti.
L’esperienza del servizio di leva nel corpo dei bersaglieri della prima compagnia del primo plotone “La Marmora” mi portò a vivere come protagonista un evento che segnò in modo indelebile la mia vita e quello dell’intero popolo italiano…, la nomina a presidente della Repubblica Italiana di Sandro Pertini che volle come picchetto d’onore oltre ai corazzieri a cavallo il corpo dei bersaglieri.
Io ero lì… dentro il Quirinale con la mia compagnia in alta uniforme e con grande emozione ed orgoglio presenziai al giuramento e alla fedeltà che il Presidente fece alla Repubblica Italiana. Ma oltre a questo importante evento, ben due ricordi più coloriti ed anomali caratterizzarono quel periodo. Il primo fu quando il Cappellano militare mi propose di suonare in una piccola frazione “Aurelia” al matrimonio di due modesti sposi, con il solo compenso di essere invitato al pranzo di nozze… Io accettai e con grande meraviglia dei miei quel giorno pranzai da “Generale” (Tutto ciò mi portò a ricordare quando mio padre suonava nei matrimoni e fidanzamenti per un piccolo compenso a fine anni ’50 inizio anni ’60…). Il secondo ricordo fu quando sempre il Cappellano della caserma mi propose di suonare l’organo alla cattedrale di Civitavecchia per il precetto pasquale davanti a tutta la caserma: 1800 militari più gli ufficiali e sottoufficiali e le loro rispettive famiglie… (mai mi ero esibito davanti a una così vasta platea… ma non successe mai più…).
Anche questa volta accettai con un po’ di genuina superficialità e, con un gruppo eterogeneo di cantori, mi esibii con un buono risultato… a tal punto che il Vescovo Militare, a fine cerimonia, chiese al mio Tenente Colonnello di chiamare l’organista e il gruppo dei cantori… Fui premiato (L’organista ero io…) su richiesta dell’alto prelato con una licenza premio di 5 giorni più viaggio a spese dell’esercito italiano… la gioia fu incontenibile e pensai come a volte la storia si ripete ( magari in forme diverse)… mio padre non era un musicista come non lo sono io, ma come dice il detto… “Nel Paese dei ciechi chi ha un solo occhio è il Re…” Questi due episodi mi permisero di capire meglio ciò che il mio caro padre provava allora nell’esibirsi in determinate occasioni…