Leucemia linfatica cronica e i nuovi dati che mostrano i benefici di ibrutinib in combinazione e in monoterapia. Janssen, azienda farmaceutica del gruppo Johnson & Johnson, presenterà nuovi importanti dati su ibrutinib, in occasione del congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) 2021. Lo studio CAPTIVATE di fase 2 (PCYC-1142), sulla coorte di pazienti con trattamento a durata fissa di ibrutinib più venetoclax, mostra che il 95 per cento dei pazienti trattati sopravvivono liberi da progressione dopo due anni1, con importanti remissioni in tutti i sottogruppi, inclusi i pazienti con LLC ad alto rischio.1 Inoltre, i risultati a lungo termine dello studio RESONATE-2 (PCYC-1115/1116), che ad oggi rappresenta il più lungo follow-up di fase 3 di 7 anni, per gli inibitori della Bruton tirosin-chinasi (BTK)2, indicano un rafforzamento dei benefici in termini di sopravvivenza a lungo termine e un profilo di sicurezza consolidato della monoterapia con ibrutinib per i pazienti con LLC, un tipo di linfoma non-Hodgkin e la più comune forma di leucemia negli adulti.1,2
"Il trattamento in continuo con ibrutinib nei pazienti con LLC è ormai uno standard di cura consolidato, impiegato anche in quelli ad alto rischio", ha detto Paolo Ghia*, M.D., Ph.D., Professore di Oncologia Medica, Università Vita-Salute San Raffaele, e principale ricercatore dello studio CAPTIVATE. "Gli ultimi dati dello studio sottolineano che ibrutinib, somministrato per via orale in combinazione con venetoclax, determina anche un alto tasso di sopravvivenza libera da progressione a due anni, consentendo ai pazienti la remissione senza trattamento". “Ibrutinib è stato il primo inibitore della BTK approvato in Europa ed è stato impiegato nel trattamento di oltre 230.000 pazienti in tutto il mondo. È anche il primo inibitore della BTK ad essere stato studiato in un trattamento in regime combinato a durata fissa”, ha spiegato Edmond Chan, EMEA Therapeutic Area Lead Haematology, Janssen-Cilag Ltd. “Gli ultimi dati che saranno presentati all’ASCO rafforzano il potenziale di ibrutinib come opzione di trattamento fondamentale in tutto il panorama della LLC e aggiungono ulteriori prove sulla sua efficacia e sul suo profilo di sicurezza".
"I risultati positivi dello studio CAPTIVATE dimostrano il potenziale della terapia con ibrutinib più venetoclax – grazie a un meccanismo d'azione complementare – nell’indurre risposte profonde in combinazione a durata fissa una volta al giorno, regime che può essere somministrato in ambulatorio per i pazienti più giovani e in buona salute", ha rimarcato Craig Tendler, M.D., Vicepresidente, Sviluppo Clinico e Global Medical Affairs, Oncology, Janssen Research & Development, LLC. "I risultati di RESONATE-2, infine, supportano ulteriormente il beneficio a lungo termine della monoterapia con ibrutinib in prima linea in pazienti con LLC. L'ampiezza e l’importanza dei sempre più numerosi dati continua a indicare questo trattamento come standard di cura e a valorizzare il suo impatto sulla sopravvivenza libera da progressione e complessiva”.
Primi dati della coorte a durata fissa dello studio di fase 2 CAPTIVATE (PCYC-1142) della terapia con ibrutinib in combinazione in pazienti con LLC precedentemente non trattati (Abstract #7501)1. Lo studio CAPTIVATE ha valutato pazienti con LLC precedentemente non trattati con età uguale o inferiore a 70 anni, includendo i pazienti con malattia ad alto rischio.1 Nella coorte a durata fissa (N=159; età mediana 60 anni), i pazienti hanno ricevuto tre cicli di terapia con ibrutinib nel periodo lead-in, seguiti da 12 cicli di terapia con ibrutinib in combinazione con venetoclax, per poi interrompere la terapia indipendentemente dallo stato di malattia minima residua (MRD).1 Più del 90 per cento dei pazienti ha completato la terapia pianificata di ibrutinib più venetoclax.
Con un follow-up mediano di 27,9 mesi, il tasso di risposta completa (CR) nella popolazione complessiva è stato del 56 per cento (n=88; intervallo di confidenza al 95 per cento [CI]: 48-64) ed è stato coerente nei sottogruppi ad alto rischio.1 Dei pazienti che hanno raggiunto una CR, l'89 per cento l’ha mantenuta per almeno un anno.1 Nel restante 11 per cento, c’è stata una progressione della malattia in un paziente; mentre gli altri pazienti con follow-up della risposta inferiore a un anno non erano valutabili.1 Il tasso di risposta complessiva (ORR) è stato del 96 per cento.1 La sopravvivenza libera da progressione (PFS) stimata a 24 mesi con ibrutinib più venetoclax è stata del 93 per cento per i pazienti con IGHV non mutato e del 97 per cento per i pazienti con IGHV mutato (IGHV non mutato 95 per cento CI: 85-97; IGHV mutato 95 per cento CI: 88-99) e la sopravvivenza globale (OS) è stata del 98 per cento (95 per cento CI: 94-99) per tutti i pazienti trattati.1 Il 77 e il 60 per cento dei pazienti ha raggiunto il livello di malattia minima residua non rilevabile (uMRD) nel sangue periferico e nel midollo osseo, rispettivamente.1
Da notare che il 94 per cento dei pazienti con un alto rischio di sindrome da lisi tumorale (TLS) sulla base del carico tumorale è passato a un rischio medio o basso dopo la fase di lead-in con ibrutinib, senza che si verificasse nessun evento di TLS.1 Gli eventi avversi (AE) sono stati principalmente di grado 1/2.1 Gli AE di grado 3/4 più comuni sono stati neutropenia (33 per cento), infezioni (8 per cento), ipertensione (6 per cento) e diminuzione della conta dei neutrofili (5 per cento).1 Le interruzioni dovute agli AE sono state poco frequenti (3 per cento per ibrutinib).1 I risultati della coorte guidata da uMRD dello studio CAPTIVATE sono stati presentati al congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH) 2020. È, inoltre, in corso lo studio di fase 3 GLOW (NCT03462719) che valuta la terapia a durata fissa con ibrutinib più venetoclax vs clorambucil più obinutuzumab, per il trattamento in prima linea di pazienti giovani non idonei (unfit) o anziani con LLC, indipendentemente dai criteri di idoneità. Questi studi fanno parte di un programma di sviluppo globale per analizzare il potenziale della terapia a durata fissa a base di ibrutinib.
I dati a lungo termine dello studio di fase 3 RESONATE-2 dimostrano l'efficacia e la sicurezza della monoterapia con ibrutinib in pazienti con LLC precedentemente non trattati (Abstract #7523)2. Lo studio RESONATE-2 ha valutato 269 pazienti con LLC, precedentemente non trattati, di età pari o superiore a 65 anni, senza del(17p), assegnati in modo casuale a ricevere ibrutinib o clorambucil per 12 cicli.2 Con un follow-up fino a sette anni, il beneficio della PFS con ibrutinib in monoterapia è stato mantenuto (PFS Hazard Ratio [HR] 0,160 [95 per cento CI: 0,111-0,230]).2 A 6,5 anni, la PFS mediana con ibrutinib non è stata raggiunta; il 61 per cento dei pazienti trattati in monoterapia con ibrutinib sopravvivevano liberi da progressione rispetto al 9 per cento dei pazienti trattati con clorambucil.2 Il beneficio della PFS per i pazienti trattati con ibrutinib è stato osservato in tutti i sottogruppi, compresi quelli con caratteristiche genomiche ad alto rischio come la mutazione TP53, IGHV non mutato o delezione di 11q (HR 0,091 [95 per cento CI: 0,054-0,152]).2 Inoltre, il 78 per cento dei pazienti nel braccio di trattamento con ibrutinib era vivo a 6,5 anni. Il tasso di CR con il trattamento con ibrutinib è aumentato nel tempo fino al 34 per cento.2 Infine, dopo sette anni di follow-up, quasi la metà dei pazienti continua a ricevere il trattamento con ibrutinib.2
La monoterapia con ibrutinib è stata ben tollerata nel lungo termine, senza nuove segnalazioni sulla sicurezza.2 I tassi di eventi avversi (AE) di grado 3 o superiore sono rimasti bassi per l'ipertensione (intervallo da cinque a sei anni: n=20; intervallo da sei a sette anni: n=15) e la fibrillazione atriale (intervallo da cinque a sei anni: n=7; intervallo da sei a sette anni: n=5).2 Inoltre, non si è verificata nessuna emorragia maggiore di grado 3 o superiore nel periodo dai cinque ai sette anni di follow up.2 Gli AE di qualsiasi grado che hanno portato all'interruzione del trattamento sono stati osservati nel 3 per cento (n=2) dei pazienti dal quinto al sesto anno e nessun paziente ha interrotto il trattamento nel braccio di ibrutinib a causa degli AE dal sesto al settimo anno.2