Problemi di memoria e di ragionamento. Sono tra gli effetti riscontrati in molti pazienti che hanno avuto il virus Covid. Si tratta della cosiddetta brain fog, una nebbia cognitiva che sembra ottundere la mente. Gli effetti dei problemi di memoria emergono sempre più spesso nella letteratura scientifica, con un numero crescente di pazienti che ne soffrono anche a mesi di distanza dall’infezione. E un nuovo studio dell’Università di Cambridge aiuta oggi a capire meglio le proporzioni del problema: per alcuni dei pazienti più a rischio, quelli che hanno sofferto di una forma grave di Covid 19, è come se il cervello fosse invecchiato, di colpo, di oltre 20 anni.
Long Covid e cervello
Le sequele cognitive di Covid sono uno degli aspetti di questa pandemia che sta ricevendo più attenzione negli ultimi mesi da parte del pubblico e della comunità scientifica. Il lascito di questo virus con cui dobbiamo fare i conti in questi mesi in cui l’epidemia sembra allentare la sua stretta, almeno sul piano di ricoveri e decessi. Moltissimi pazienti infatti continuano a lamentare sintomi anche al termine dell’infezione: problemi di sonno, memoria, ragionamento, disturbi di ansia e altre sintomatologie psichiatriche. In Inghilterra quasi il 13% dei pazienti sembra soffrire di uno o più di questi problemi a tre mesi dalla guarigione. Ma per chi ha sofferto di una forma sufficientemente grave da necessitare di un ricovero, le cose sembrano andare anche peggio: si parla di una percentuale compresa tra il 33 e il 76% di ex pazienti che sperimentano problemi cognitivi fino a 6 mesi dopo essere guariti.
Trattandosi per lo più di statistiche raccolte su valutazioni soggettive dei pazienti, i ricercatori di Cambridge hanno deciso di tentare una verifica più oggettiva della prevalenza e la gravità dei sintomi. Per farlo hanno valutato le capacità cognitive di 46 ex pazienti ospedalizzati per Covid 19 nel Regno Unito utilizzato Cognitron, una piattaforma online sviluppata dall’Imperial College di Londra. I partecipanti sono stati testati con attenzione a sei mesi dalla guerigione, e i risultati sono stati comparati con quelli di 460 volontari che non hanno contratto Covid, e con i risultati medi calcolato su oltre 66mila persone che hanno effettuato il test in passato.
10 punti di quoziente intellettivo
In questo modo i ricercatori ritengono di aver ottenuta una valutazione credibile degli effetti cognitivi che sperimenta chi sviluppa Covid in forma acuta. In media, gli ex malati gravi hanno ottenuto risultati particolarmente bassi in aspetti come il ragionamento verbale analogico (la capacità di trovare somiglianze e relazioni tra parole) e la velocità di ragionamento. Gli effetti – scrivono i ricercatori su eClinicalMedicine – sono paragonabili a quelli che si vedono in 20 anni di invecchiamento del cervello tra il cinquantesimo e il settantesimo anno di vita. O anche a una perdita netta di 10 punti dio quoziente intellettivo.
“Il deterioramento cognitivo è un problema comune a un ampio raggio di disturbi neurologici, come la demenza e anche il normale invecchiamento cerebrale, ma lo schema che abbiamo osservato – l’imporonta digitale di Covid 19 – è completamente diversa da qualunque altro”, spiega David Menon, anestesista di Cambridge che ha coordinato la ricerca. “Alcuni pazienti siamo riusciti a seguirli anche fino a 10 mesi dall’infezione acuta, e quindi posso dire che abbiamo osservato qualche lento miglioramento – aggiunge – nulla di significativo dal punto di vista statistico, ma comunque un passo nella giusta direzione. Per quanto ne sappiamo al momento, comunque, alcuni di questi pazienti potrebbero non arrivare mai a un recupero completo”.
Un problema noto
Come dicevamo, le conseguenze cognitive di Covid 19 sono un campo sempre più studiato negli ultimi mesi. Uno studio pubblicato in preprint a marzo su Nature ha esaminato, ad esempio, le scansioni cerebrali di 401 persone di età compresa tra i 51 e gli 81 anni che hanno contratto Sars-Cov-2 nel Regno Unito, comparandole con quelle di 384 che non hanno avuto la malattia. L’analisi ha permesso di verificare l’anatomia cerebrale dei partecipanti sia prima che in seguito alla malattia, dimostrando la presenza di importanti cambiamenti, in particolare nello spessore della materia grigia e nel volume totale del cervello. Testando anche le capacità cognitive dei partecipanti, lo studio ha rivelato un declino in quelli colpiti da Covid 19, correlabile ai cambiamenti morfologici emersi dalle scansioni cerebrali.
Un altro studio recente, pubblicato su Jama Neurology, ha indagato invece il collegamento tra Covid e sviluppo di demenza. La ricercha ha coinvolto oltre 1.400 pazienti di Wuhan (la città cinese dove è emersa per la prima volta la malattia), tutti over 60, testando le capacità cognitive dei pazienti a 6 e a 12 mesi dalla guerigione. Nei pazienti che avevano sofferto di una forma grave di Covid il rischio di demenza a esordio precoce è risultasto 4,87 volte superiore a quello dei non infetti. E anche per chi aveva sviluppato una forma lieve, il problema è risultato comuque 1,71 volte più comune del normale. Risultati che, a detta degli autori dello studio “dimostrano che la pandemia in futuro contribuirà a peggiorare il peso della demenza nel mondo”.