Pippo Pattavina mattatore ieri sera al Duemila di Ragusa. Siamo nell’Italia risorgimentale, nel periodo a cavallo tra le ultime luci del regno borbonico e la nascita dello stato unitario. Precisamente ci troviamo in Sicilia, a Catania, e assistiamo a questo fondamentale momento evolutivo della storia italiana, attraverso le vicende che coinvolgono tre generazioni appartenenti alla famiglia Uzeda di Frascalanza, discendente dei Vicerè spagnoli da cui l’opera trae il titolo. La mente di Federico De Roberto, l’autore del romanzo da cui è stato partorito l’adattamento teatrale, ci immette in uno spaccato di vita sociale la cui narrazione si dipana attraverso dinamiche di potere, denaro e ipocrisia sociale.
Nella rappresentazione di Guglielmo Ferro, proposta ieri sera al Duemila di Ragusa, all’interno di un ambiente familiare anaffettivo e votato solo alla ricerca del potere, alcuni personaggi provano ad essere autentici e a scardinare le dinamiche familiari, come nel caso della zia Lucrezia che, contro tutti, sposerà Giulente, un rivoluzionario seguace di Cavour, o come nel caso di Consalvo, che incarna il modello del ribelle che passerà tutta la vita in opposizione col padre. Applaudita dal pubblico, l’opera, proposta nell’ambito della stagione di Teatro in primo piano promossa da Ac eventi srl, si è rivelata apprezzabile, seppur impegnativa e coraggiosa: ridurre una narrazione così ampia e complessa a una manciata di ore implica il necessario taglio di molti passaggi interessanti per non perdere di vista il filo conduttore della trama. Rispetto all’opera originaria e alla versione cinematografica di Roberto Faenza, in cui è preponderante il personaggio di Consalvo, la regia di Ferro adotta un inedito narratore, un personaggio apparentemente secondario: lo zio, don Blasco.
Questa originale decisione si rivela da subito felice: don Blasco, interpretato da Pattavina, è un monaco scanzonato, dall’intelletto vivace, in questo contesto s’intesta il ruolo di voce narrante che racconta, osserva, giudica, critica, disvela le ipocrisie, i legami non autentici, l’aspirazione al potere della sua famiglia. Don Blasco risulta il personaggio più riuscito e meglio caratterizzato grazie ad un’interpretazione brillante. Il suo personaggio e il suo talento, da soli, reggono l’intera intelaiatura drammaturgica, costituendo il cardine attorno a cui ruotano tutti gli altri ruoli. Da sottolineare, poi, che gli arredi sono stati proiettati con luci calde su panneggi costituiti da frange sottilissime dall’effetto dinamico e leggermente fluttuanti, creando un’atmosfera trasognata, surreale. La scena ne è risultata divisa in due spazi scenici: un primo dinanzi agli spettatori separato dallo sfondo da tali tende. Sullo sfondo le pareti mutano in base ai cambi scena sempre grazie ai raffinati, ricercati disegni proiettati al fine di ricreare gli appartamenti dei protagonisti.
Ne è risultata una scenografia elegante e raffinata, come i costumi curati in ogni dettaglio nella loro ricercatezza. Il pubblico in sala non ha perso mai l’attenzione nonostante la lunga durata e si è fatto avvincere e coinvolgere da uno spettacolo ben riuscito, grazie ad una molteplicità di ingredienti ben assortiti.