Centinaia di foche grigie e foche comuni sono state uccise dall’influenza aviaria A (H5N1) ad alta patogenicità (HPAI) lungo le coste del New England, un territorio affacciato sull’Oceano Atlantico che abbraccia diversi Stati degli USA. Si tratta del primo evento di moria considerevole nei mammiferi selvatici a causa di questo ceppo di virus dell’influenza aviaria, che dal 2020 sta letteralmente provocando la morte di decine di milioni di uccelli, tra pollame e specie selvatiche. Particolarmente colpiti gli uccelli marini, con intere colonie sterminate in Europa e in America. In Perù, ad esempio, sono recentemente morti 60mila uccelli tra pinguini, pellicani e gabbiani. A settembre dello scorso anno numerosissime carcasse di sterne, sule bassane e gabbiani erano state invece recuperate in Francia. Una strage silenziosa che preoccupa gli esperti di fauna selvatica per il drammatico impatto sulla biodiversità, ma che alla luce della diffusione nei mammiferi, potrebbe innescare un drammatico spillover (salto di specie) anche nell’uomo.
A collegare la morte delle foche comuni (Phoca vitulina) e delle foche grigie (Halichoerus grypus) all’influenza influenza aviaria A (H5N1) ad alta patogenicità (HPAI) è stato un copioso team di ricerca statunitense guidato da scienziati dell’Università Tufts, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell’Università del Massachusetts, dei New England Wildlife Centers, della National Oceanic and Atmospheric Administration Fisheries, del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti e di altri istituti. Gli scienziati, coordinati dalle dottoresse Wendy Puryear e Kaitlin Sawatzki della Scuola di Medicina Veterinaria Cummings, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver raccolto dati sulle carcasse di numerosi animali trovati spiaggiati lungo la costa nordatlantica. Grazie alla collaborazione di centri di recupero per la fauna selvatica, istituzioni accademiche, centri di ricerca e altri enti gli autori dello studio hanno potuto confermare la morte delle foche a causa del virus. In passato erano stati già trovati alcuni mammiferi positivi al pericoloso patogeno, come volpi, visoni, lontre, puzzole, orsi, ma i casi erano stati in tutto un centinaio e perlopiù isolati. I mammiferi si infettano con l’aviaria H5N1 entrando in contatto con volatili infetti, ad esempio quando ne predano uno, ma il contagio è possibile anche interagendo con gli escrementi o l’acqua contaminata dagli stessi.
Poiché le foche condividono gli stessi ecosistemi degli uccelli marini, è molto probabile che questi contagi si siano verificati con questo tipo di interazioni. Ma non si può escludere che si sia verificato un contagio tra foche, un dettaglio che renderebbe la questione decisamente più preoccupante. È noto infatti che l’H5N1 è scarsamente capace di saltare all’uomo e “la diffusione da persona a persona sembra essere insolita”, come spiegato dall’Oms, ma il virus potrebbe mutare e adattarsi meglio ai mammiferi, proprio diffondendosi tra le foche grigie e le foche comuni. “Queste specie di foche rappresentano un percorso di adattamento del virus dell’influenza aviaria A agli ospiti dei mammiferi che è un evento ricorrente in natura e ha implicazioni per la salute umana”, hanno sottolineato gli scienziati nell’abstract dello studio. “Non sorprende che si possa avere la trasmissione tra le foche, perché è successo con l’influenza aviaria a bassa patogenicità. Tuttavia, non possiamo dire con certezza se vi sia stata o meno una trasmissione da mammifero a mammifero dell’HPAI” non sorprende ha dichiarato la dottoressa Puryear in un comunicato stampa “Per ottenere prove evidenti della trasmissione da mammifero a mammifero, sono necessarie due cose: molti animali infetti e tempo. Man mano che il virus acquisisce mutazioni, possiamo vedere mutazioni condivise nelle sequenze che sono specifiche solo per i mammiferi e che non sono state viste prima in un uccello. Avevamo i numeri, ma questo focolaio non è durato abbastanza a lungo da fornire prove della trasmissione da foca a foca”, le ha fatto eco la dottoressa Sawatzki.
Dalle analisi i ricercatori hanno identificato tre ceppi che sono passati dall’Europa agli USA e uno è specifico del focolaio del New England. I dati raccolti sono molto significativi e aiuteranno a comprendere le dinamiche di diffusione dell’H5N1 e i rischi per l’essere umano. Secondo un recente studio dell’Agenzia Britannica per la sicurezza sanitaria in caso di pandemia grave l’aviaria provocherebbe 1 morto ogni 40 infetti, uno scenario analogo a quello della terribile Influenza Spagnola. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Emerging Infectious Diseases.