Ragusa – Certamente è questo un periodo molto critico per la sanità pubblica iblea. Ma in questa occasione non vogliamo entrare nel merito di accuse e difese, criticità e passi in avanti per superarle. E men che mai intervenire su vicende giudiziarie su cui è giusto far lavorare gli inquirenti. Questa invece ci sembra l’occasione giusta per dare la parola ad un cittadino ibleo che fornisce un dettagliato resoconto di una sua vicenda personale. Resoconto che non tace delle criticità ma che allo stesso tempo evidenzia eccellenze che certamente esistono nel mondo sanitario della provincia di Ragusa.
“Speriamo di non averne bisogno” una delle frasi più ricorrenti quando si parla di Sanità, speriamo di star sempre bene, ma arriva malauguratamente un dolore addominale acuto, lancinante, improvviso che ti mette in ginocchio, sudorazione elevata, non riesci a respirare, il momento in cui dici: ed adesso? Erano le 23.30 del 17 gennaio 2024, quando, dopo il malore, raggiunto il Pronto Soccorso del Giovanni Paolo II, si presenta una visione drammatica della sala d’attesa, sembra un luogo di confinamento e di isolamento per portatori di malattie contagiose, ammassati in una sala piena di gente, tanti sulle barelle accudite dai parenti, alcuni accampati, sistemati come si può sulle sedie, una porta con i rilevatori di movimento non efficienti che rimane aperta, le ventate di freddo provenienti dall’esterno che diventano un vortice gelido all’interno della sala, gente spazientita che si lamenta per l’attesa, coperta con berretti e sciarpe, pazienti che arrivano continuamente e si intravedono auto private ed ambulanze che accompagnano i parenti doloranti, sembra la scena di un film nel momento dopo una enorme catastrofe, invece ti accorgi che è semplicemente la routine di un pronto soccorso di un capoluogo di provincia dove l’ingresso diventa, sala d’attesa, zona degenza per pazienti in attesa di accertamenti e la riflessione che ne scaturisce spontanea è quella di essere in presenza di una struttura architettonica decisamente inadeguata e progettata in maniera certamente impropria per ospitare un pronto soccorso.
In questo quadro di spaccato della realtà, emerge l’efficienza di tutto il personale sanitario, dei medici, degli infermieri, del personale ausiliario che con professionalità gestiscono le emergenze, diretto in maniera magistrale dal dottore Giovanni Noto, fanno fronte alle esigenze dei pazienti e sopperendo alla chiara ed evidente carenza di personale.
Sono stato catalogato in codice verde, dopo che i sanitari hanno rilevato i parametri vitali, effettuato l’Elettrocardiogramma, sottoposto a visita medica, somministrato antidolorifico, effettuato il prelievo ematico, sono stato inviato nel blocco di esami diagnostici, effettuata la tac, sottoposto ad esame ecografico, emessa la diagnosi e sottoposto a colecistomia percutanea che risulta essere una tecnica minimamente invasiva per il trattamento della colecistite, consiste nell’inserimento di un drenaggio che decomprime la cistifellea e drena la bile, tecnicamente questa decompressione riduce il processo infiammatorio nella cistifellea, ho parzialmente risolto in poco più di 24/48 ore, considerando gli esami a cui sono stato sottoposto.
Quindi sono stato trasferito nel reparto di Chirurgia generale per i trattamenti del caso con una degenza di qualche settimana, monitorato quotidianamente con rilevazione dei parametri vitali ed ematici, con le relative tac di controllo, risonanza magnetica, accertamenti approfonditi per valutare la situazione generale con tac con i mezzi di contrasto. Sottoposto ad eco-endoscopia presso l’Humanitas di Catania per approfondimento dello stato degli organi interessati sono successivamente stato sottoposto a colangiopancreatografia, o ERCP, che risulta essere una procedura medica alquanto invasiva, che riunisce in sé endoscopia e fluoroscopia, allo scopo di individuare – ed eventualmente trattare – le patologie del pancreas e dei dotti biliari e pancreatici, la colangiopancreatografia, di non facile esecuzione, richiede una specifica preparazione, che risulta fondamentale per la buona riuscita dell’intera procedura e l’equipe medica del Giovanni Paolo II ha dimostrato di essere tra le migliori.
Il percorso di degenza ha dato modo di apprezzare la professionalità dei medici di reparto dal Primario, al Dott. Rosso, Dott Ammatuna, Dott.ssa Bonaccorsi, Dott. Il Grande e tutto il personale infermieristico coordinato dal Dott. Emanuele Distefano che si è distinto per professionalità, disponibilità, umanità e tutto il personale ausiliario.
Un grande plauso al personale infermieristico dell’ambulatorio di chirurgia che con abnegazione gestisce la mole di lavoro enorme da affrontare giornalmente, ma in maniera esemplare da supporto per il blocco chirurgico.
“Speriamo di non averne bisogno” è l’augurio per tutti, ma il percorso clinico del paziente del quale nominiamo le inziali GFB, indicano che in tutto il caos sanitario generale c’è del personale medico, infermieristico ed ausiliario che si dedica al bene del paziente, ed è quello che ogni cittadino ha la speranza di potere incontrare, con l’augurio di spronare la dirigenza a potere trovare le risorse per colmare la carenza di personale, primo passo per una sanità migliore”. (da.di.)