I tempi, a cui mi voglio riferire, sono quelli dei ricordi che si riaccendono al solo pensiero del gusto di un sorso “alla bottiglia della mitica Gassosa” fatto sotto il caldo sole estivo degli Iblei. Ah che freschezza! Lo ricordo come fosse oggi. Un sorso ed un altro ancora, fino in fondo, proprio come quando, un po’ più che bambini, facevamo prima la gimkana fra i tavolini nel chiosco all’aperto di Don Firili, raccogliendo le solitarie ed incustodite bottiglie e poi correvamo dietro alla banda nei giorni di festa.
Restavamo rapiti a sentire un “pezzo” eseguito con cassa armonica dai musicanti ed un altro ancora, suonato dai Maestri in giacca e cravatta, così attillati ed eleganti, con l’immancabile berretto, sormontato da onorato stemma e anche da innumerevoli gocce di sudore, frutto dell’impegno e della bravura, che solcavano i volti imbruniti dal sole e solcati dal trascorrere del tempo, durante quelle giornate per noi ragazzi festose, e per i musicanti piene di grande spirito di sacrificio.
Le bottiglie vuote della gassosa divenivano i nostri strumenti accompagnatori, insufflate come incorporei strumenti “a sfiato” o percosse da piegati ed appiccicosi stecchi dello zucchero filato appena divorato o ancora raccolti da terra a seguito di furiosa scorribanda fra noi aspiranti batteristi. Che conquista quelli stecchi! Li difendevamo come trofeo rinvenuto tra le scanalature delle levigate e bollenti pietre calcaree, le “basolate” dure pietre calcaree levigate che lastricavano le nostre vie, le nostre piazze e spesso assaporavano la tenera ed a volte inesistente protezione delle giovani ginocchia! Come sfacciati direttori di banda, ognuno di noi con una propria interpretazione e con un proprio tempo musicale, scimmiottava le movenze dei musicisti con gli strumenti appena nati. Nonostante l’evidente disturbo agli astanti, l’entusiasta ed imberbe esecuzione, alla fine, tramutava l’atmosfera tensiva in un sorriso amorevole. Nelle nostre corte divise estive, completate dai famosi sandali “con gli occhi”, dai quali uscivano fuori i calzini merlettati di due taglie più grandi: quelli usati dal fratello maggiore l’estate prima… tranne io che li avevo a misura perché ero figlio unico… Che immensa gioia alla fine della parata, quando i Maestri suonatori ponevano le protezioni ai loro strumenti, ora sì che ci si poteva esprimere “a tutta Gassosa e Birra”.
Era un attimo e venivano alla luce tutte le nostre innate qualità artistiche, tutto il nostro esagerato spirito d’intrattenimento, fortunatamente gradito anche ai musicanti che divertiti e ormai rilassati, si facevano seguire e raggiungere sino al momento del loro “effervescente” e meritato ristoro. Chi non ha mai ricevuto in dono i “boccali del nonno”? Per i più audaci di noi “neo musicisti” quel momento rappresentava l’aspirazione più grande, assaggiare l’effervescente bevanda, la gazzosa mescolata alla birra, proprio come facevano i nostri nonni. L’assaggio del primo sorso della gustosa bibita in dei bicchieroni col manico, stracolmi di schiuma, lo avverto ancora oggi, spumeggiante sulle labbra. La “canaglia” di turno della nostra “banda” che avesse colpito il centro della grancassa con la “mazza”, o fosse riuscito ad emettere un sibilo con la tromba o il clarinetto dei Maestri, sarebbe stato il vincitore del “boccale del nonno”.
A volte riuscivamo, perdendo la mazza a seguito del vibrante rimbalzo oppure emettendo una specie di pernacchia con gli strumenti, a provocare il sollazzo nei divertiti musicanti che a riposo, senza i loro berretti, cercavano refrigerio negli spigoli delle risicate ombre dei palazzi del centro del quartiere degli Archi. Erano come “uomini mascherati”, proprio come nel periodo di carnevale, muniti di una maschera che lasciava scolorita la fronte a causa della visiera, e che non andava via quando con le stoffe dei loro “fazzuletti” si asciugavano il sudore. Tutto ciò a noi giovani canaglie ispirava ilarità e divertimento… erano i giorni della festa dedicate alla “Maria Santissima di Portosalvo” il 14 e il 15 agosto di molti anni fa…
L’estate e le varianti della Gassosa a Ibla
Si andava allo stadio e dopo aver curnatiatu l’arbitro, l’uomo cervo per eccellenza, ci si lasciava andare a quello che diventava, pronunciato da migliaia di persone anche se sussurrato, un coro tipico che ha fatto epoca: un quartu ri vinu e n’a cazzusa ri Iemmolo. Perché nelle taverne ragusane come negli spalti, la gassosa si mischiava con due dita di vino bianco… a Ragusa Ibla na taverna della salita commentatore u Ziu Peppe ci mittia puri na sprulazzata di sale.
Insieme alla stagione estiva, inizio anni ’60, entrava in scena anche uno dei prodotti iconici della Sicilia, uno di quelli che fa parte dei ricordi di chiunque, che siano legati all’infanzia, alle tavolate, o ai momenti passati in compagnia. Limone o mandarino erano i due gusti più conosciuti che dividevano in due fazioni chi la consumava. Si è capito, quindi, che stiamo parlando della gazzosa (o gassosa, gazzusa), quella bevanda dalla bottiglia così riconoscibile, la cui storia fa parte della tradizione culinaria della Sicilia. Era consuetudine consumarla al chiosco, talvolta servita nel boccalino e miscelata con il vino, ottenendo u miezzu e miezzu… (un termine coniato da Don Ciccinu u scarparu del quartiere di San Paolo di Ibla).
Le bollicine di ieri e di oggi
La gazzosa, con le sue bollicine frizzanti e il suo gusto zuccherino, è da sempre una bevanda iconica in Italia. Un classico che evoca ricordi d’infanzia, pomeriggi estivi e momenti di convivialità. Ma la gazzosa è molto più di una semplice bibita: è un pezzo di storia e di cultura italiana.
Le sue origini risalgono alla fine del XIX secolo, quando in Italia iniziarono a diffondersi le prime fabbriche di acque gassate. La gazzosa era inizialmente un prodotto di lusso, consumato principalmente dall’alta borghesia. Ma ben presto conquistò il favore di tutti i ceti sociali, diventando una bevanda popolare e accessibile.
Nel corso del XX secolo, la gazzosa si è affermata come bevanda simbolo della Sicilia e di una buona parte anche dell’Italia. Era presente in ogni bar, ristorante e casa. Era la scelta rinfrescante per eccellenza durante le calde giornate estive, ma anche l’accompagnamento ideale per pizze, focacce e altri piatti tipici.
La gazzosa non è solo una bevanda, è un’istituzione. Ha fatto da sfondo a film, canzoni e opere letterarie. È stata protagonista di spot pubblicitari memorabili e ha accompagnato le generazioni di italiani nel corso dei decenni. Oggi la gazzosa continua ad essere amata da grandi e piccini. Accanto alle ricette tradizionali, sono nate nuove varianti con gusti diversi, dai frutti esotici alle spezie. La gazzosa è anche sempre più presente nella mixology, dove viene utilizzata per creare cocktail originali e raffinati.
Una Storia tutta Siciliana
La bottiglietta di vetro fu l’idea di oltre cinquant’anni fa di Pippo Partanna e poi adottata dalla ditta Iemmolo di Ragusa, allora patron della ditta palermitana. Analcolica, misto passito e gassosa. E, mentre scrivo, mi guardo attorno e cerco un frigobar, un ectoplasma, un ricordo. L’ultima l’ho bevuta al bar della piazza degli Archi al chiosco di Peppino ad Ibla.
La gazzosa è un’acqua zuccherata, aromatizzata e leggermente gassata; da qui deriva il suo nome, dal termine “gas” che ne conferisce la tipica frizzantezza. Un tempo era nota come “champagne dei poveri”, perché essendo frizzante ricordava le bollicine dello champagne e si beveva nelle occasioni speciali.
Sul mercato si trovano molte ‘sorelle’ della gassosa ma la classica resta apprezzata per il suo sapore meno dolce e per la minor effervescenza. Le varianti nel corso degli anni non sono mancate: così possiamo trovare la gassosa al mandarino o quella al caffè o ancora la Sambusoda, gassosa all’anice tipica di Messina.
La rivincita della Gassosa…
Zitta, zitta, quatta, quatta, la gassosa è tornata a fare il suo ingresso, forse poco trionfale, comunque meritato, nelle bibite più gradite dell’estate. Apprezzata fin dal secolo scorso, quale antesignana dell’acqua gassata, veniva identificata quale classica bevanda femminile da sorbire negli afosi pomeriggi estivi. I bambini, da sempre avidi consumatori, la pretendevano anche a tavola, anche se non tutti se lo potevano permettere. I più ricchi, crudeli come solo i piccoli lo possono essere, portavano agli amici le biglie di vetro, che una volta servivano a tappare le bottigliette, per dimostrare la loro possibilità di consumo. Con il crescere della disponibilità economica, la gazzosa (si può chiamare anche così!) è stata sempre più ritenuta una bevanda di serie B.
Il maschio doveva bere alcolico e rimane famoso il detto “Donne e champagne” contrapposto ad uno più ruspante con la gassosa protagonista, per far capire quali bevande potevano essere importanti nella nobile arte della seduzione. Ci sono voluti gli americani, tanto per cambiare, per farci scoprire quanto già avevamo in casa. Tutto il tam-tam pubblicitario creato per far uscire in Italia le varie “7-up” o “Sprite”, ha mascherato alla perfezione il fatto che, quello che era proposto, non era altro che una versione, riveduta e corretta, della candida gassosa. Ma gli italiani sono comunque un popolo previdente e, considerando la differenza di prezzo tra le due bevande, hanno pensato bene di tornare al passato ed ecco che, finalmente le bottigliette bianche hanno fatto il loro ritorno sugli scaffali. (Salvatore Battaglia, Presidente Accademia delle Prefi)