Le mani dei clan messinesi anche sui fondi dell'Unione europea. E' quanto emerge dalla maxi operazione antimafia 'Nebrodi' che all'alba ha portato all'arresto di 94 persone eseguito da Carabinieri e Gdf. Secondo gli inquirenti la truffa ammonterebbe a oltre 5 milioni di euro intascati indebitamente dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), l'ente che eroga i finanziamenti stanziati dall'Ue ai produttori agricoli. Tra gli arrestati, anche il nuovo boss di Belmonte Mezzagno (Palermo), Salvatore Francesco Tumminia. Secondo gli inquirenti Tumminia "riusciva a esercitare il suo potere di condizionamento anche sul locale distaccamento del Corpo forestale della Regione siciliana".
Il capo della cosca "disponeva autonomamente i turni degli operai stagionali e organizzava a piacimento le squadre di lavoro, favorendo i dipendenti a lui vicini". "Le investigazioni hanno fatto emergere come Salvatore Francesco Tumminia avesse accentrato il potere nelle proprie mani gestendo il settore delle estorsioni, infiltrandosi nelle istituzioni sane della città e ponendosi quale punto di riferimento per i propri sodali e per i propri concittadini per la risoluzione delle problematiche più svariate", dicono gli inquirenti. La direzione distrettuale antimafia di Palermo ha emesso anche un fermo di indiziato di delitto nei confronti di 2 persone ritenute responsabili di associazione mafiosa, che i carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno arrestato nel corso della notte.
Contemporaneamente i militari hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP del Tribunale di Palermo, nei confronti di altre 2 persone, già sottoposte agli arresti domiciliari, ritenute responsabili di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Le indagini documentano gli assetti e le dinamiche criminali della famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno all’indomani dell’Operazione Cupola 2.0 (4 dicembre 2018), a seguito della quale erano stati arrestati, tra gli altri, gli uomini d’onore al vertice del mandamento mafioso di Misilmeri – Belmonte Mezzagno. In manette anche un insospettabile notaio accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l'accusa avrebbe compilato falsi atti per far risultare acquisiti per usucapione una serie di terreni per poi chiedere i contributi Ue.
Tra i 46 finiti ai domiciliari, ci sono anche una decina di dipendenti dei Centri di assistenza agricola, pubblici amministratori oltre a imprenditori. Tra i destinatari del provvedimento anche i vertici ed gli affiliati del sodalizio criminale dei Nebrodi. Gli inquirenti spiegano come "gli operatori dei Centri di Assistenza Agricola e gli appartenenti all’organizzazione mafiosa, concordassero: la predisposizione di falsa documentazione attestante la titolarità di terreni da inserire nelle domande di contribuzione, anche mediante l’utilizzo di timbri falsi; la cessazione delle ditte/aziende già utilizzate (mettendole in liquidazione); il trasferimento dei titoli autorizzativi da una società/ditta ad altre da utilizzare nel contesto dell’organizzazione". E, ancora, "lo spostamento delle particelle dei terreni da una azienda a favore di altre riconducibili agli stessi sodali e la revoca dei mandati riferiti a precedenti Centri di Assistenza Agricola a favore di altri", e "ciò al fine di rendere più difficile il reperimento della documentazione utile agli organi di controllo".
Le indagini che hanno portato all'alba di oggi a 94 arresti nel messinese sono state rese più difficili a causa del "contesto territoriale ostile ed ermetico". A dirlo cono gli inquirenti. E' emersa "l’immagine di un’associazione mafiosa estremamente attiva, osservante delle regole e dei canoni dell’ortodossia mafiosa, in posizione egemone nell’area nebroidea della provincia di Messina ma capace, al tempo stesso, di rapportarsi – nel corso di riunioni tra gli affiliati – con le articolazioni territoriali mafiose Catania, Enna e finanche del mandamento delle Madonie di cosa nostra palermitana", dicono ancora gli investigatori. Dall'operazione antimafia "sono emersi profili di allarmante riconoscimento del ruolo rivestito da alcuni suoi componenti, anche da parte di pubblici ufficiali". "Basti pensare che uno dei membri più attivi della famiglia mafiosa batanese è stato interpellato da un funzionario della Regione Siciliana, in relazione a furti e danneggiamenti di un mezzo meccanico dell’amministrazione regionale, impiegato nell’esecuzione di taluni lavori in area territoriale diversa dal comprensorio di Tortorici". E' quanto dicono gli investigatori. "Ciò – spiegano – a riprova di un forte radicamento della famiglia tortoriciana anche in zone distanti dai territori di origine".
Tra gli arrestati, anche il sindaco di Tortorici: la Guardia di Finanza di Messina ha infatti arrestato Emanuele Galati Sardo, 39 anni, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l'accusa, Galati Sardo era considerato "a disposizione dell'organizzazione mafiosa per la commissione di una serie di truffe" e "aveva rapporti diretti con il boss Aurelio Faranda", dicono gli investigatori delle Fiamme gialle. il trentanovenne Emanuele Galati Sardo era stato eletto lo scorso aprile supportato dalla lista “Uniti per cambiare Tortorici”. Gli inquirenti hanno inoltre accertato "a partire dal 2013, l’illecita percezione di erogazioni pubbliche per oltre 10 milioni di euro, con il coinvolgimento in tale attività di oltre 150 imprese agricole (società cooperative o ditte individuali), tutte direttamente o indirettamente riconducibili alle due famiglie mafiose, alcune delle quali meramente cartolari ed inesistenti nella realtà". La percezione fraudolenta delle somme è stata possibile "grazie all’apporto compiacente di colletti bianchi identificati dalle indagini: ex collaboratori dell’ Ag.E.A., un notaio, numerosi responsabili dei centri C.A.A.". Pder gli investigatori "oggetti muniti del know how necessario per realizzare l’infiltrazione della criminalità mafiosa nei meccanismi di erogazione di spesa pubblica, e conoscitori dei limiti del sistema dei controlli". Secondo quanto emerge, "esaminando le istanze (con contenuto falso) finalizzate ad ottenere i contributi è emersa una suddivisione pianificata delle aree di influenza tra i sodalizi, finalizzata a scongiurare la duplicazione (o la moltiplicazione) di istanze diverse afferenti alle medesime particelle".
"Questo specifico aspetto investigativo è stato confermato attraverso intercettazioni ed acquisizioni documentali, presso diversi Centri di Assistenza Agricola, dei fascicoli aziendali delle singole ditte/società attraverso le quali venivano perpetrate le truffe; e mediante perquisizioni eseguite presso le abitazioni dei principali indagati e presso alcuni Centri di Assistenza Agricola". Tra gli elementi di novità raccolti dall’indagine, "emerge in maniera significativa un profilo di carattere internazionale degli illeciti, commessi nell’interesse delle associazioni mafiose". "In alcuni casi, infatti, le somme provento delle truffe sono state ricevute dai beneficiari su conti correnti aperti presso istituti di credito attivi all’estero e, poi, fatte rientrare in Italia attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche, finalizzate a fare perdere le tracce del denaro", dicono gli investigatori.
L’organizzazione mafiosa sgominata all'alba "grazie all’apporto di professionisti, dimostra di avere una fisionomia modernissima e dinamica, decisamente lontana dallo stereotipo della 'mafia dei pascoli'". E' quanto dicono gli inquirenti. Una organizzazione che "muovendo dal controllo dei terreni, forti di stretti legami parentali e omertà diffusa (e, quindi, difficilmente permeabili al fenomeno delle collaborazioni con la giustizia), mira all’accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell’economia legale, depredandolo di ingentissime risorse, nella studiata consapevolezza che le condotte fraudolente, aventi ad oggetto i contributi comunitari – praticate su larga scala e difficilmente investigabili in modo unitario e sistematico – presentino bassi rischi giudiziari, a fronte di elevatissimi profitti".