Roma, 15 giu – Affligge il 38% della popolazione europea e circa 16 milioni di italiani. È il dolore cronico non oncologico, patologia invalidante poco conosciuta e ancora oggi sottovalutata, nonostante la difficile condizione di cronicità riguardi nel nostro Paese una persona su cinque. Pazienti fragili che ancora oggi non vanno in ospedale per paura del contagio da coronavirus. E per questo temono di essere dimenticati e abbandonati. "Tutte le patologie sono improvvisamente diventate meno importanti rispetto all'epidemia da Covid-19 – è l'allarme di Pierangelo Geppetti, professore di Farmacologia clinica presso l'Università di Firenze e direttore del Centro Cefalee dell'ospedale universitario Careggi -. Ad esempio gli accessi al Pronto soccorso anche per eventi gravi, come ictus e infarto, sono complessivamente diminuiti. Ciò però non deve farci dimenticare che tutte le altre malattie continuano ad esistere e a colpire".
"Tra queste – prosegue – le patologie dolorose croniche e la sofferenza che producono nei pazienti non si è interrotta, anzi. E a loro dobbiamo continuare a dare risposte rapide ed efficaci. Stiamo parlando di 16 milioni di italiani. Le restrizioni del lockdown – prosegue il farmacologo – hanno coinvolto anche le attività dei centri per la terapia del dolore che hanno dovuto ridurre fortemente le visite e in generale le attività assistenziali. Assicurando le visite di urgenza, per tutti gli altri casi abbiamo attivato forme di supporto ai pazienti, tra cui visite telefoniche o tramite video, molto efficaci e gradite. Una ricerca appena terminata su pazienti con emicrania (disturbo la cui spesa in Europa tra costi diretti e indiretti arriva a 27 miliardi di euro l'anno) curati nei nostri centri fa emergere che lo stress del confinamento a casa porta ad un aggravamento della patologia dolorosa, mentre in altri casi l'allontanamento dalla vita lavorativa ha portato ad un miglioramento”.
La pratica clinica più diffusa per il trattamento del dolore cronico moderato è l'impiego dei farmaci antinfiammatori non steroidei, i Fans. L'epidemia e la risposta al Covid-19 sono state accompagnate da una massiccia infodemia, un'abbondanza di informazioni – alcune accurate e altre no – che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili e credibili quando ne hanno bisogno. "Le richieste più frequenti che ci arrivano dai nostri pazienti – ricorda Geppetti – sono relative al timore che il loro dolore o la loro cura possano facilitare il contagio del virus o su come superare una recrudescenza dei dolori. Molte informazioni che popolano la rete sono completamente infondate". Tra le 'bufale' circolate in questo periodo "quella sugli effetti negativi dei Fans e il Covid-19. Notizia assolutamente infondata, non a caso subito smentita anche dall'Aifa con una nota. In realtà questi farmaci sono fondamentali e vitali per i nostri pazienti”.
"La notizia circolata sui social – aggiunge Stefano Coaccioli, presidente dell'Associazione italiana per lo studio del dolore (Aisd) – ovvero che l'assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei, potrebbe influire in maniera negativa sul quadro clinico di pazienti positivi al coronavirus o di pazienti con polmonite interstiziali, è falsa. C'è un documento dell'Agenzia europea per i medicinali (Ema) che conferma come non ci siano prove scientifiche che stabiliscano una correlazione tra gli antiinfiammatori steroidei e non steroidei, e il peggioramento del decorso della malattia da Covid-19. Per questo motivo medici e pazienti possono stare tranquilli”.
Nel caso un paziente con dolore cronico non oncologico risulti positivo al virus, deve interrompere la terapia a base di analgesici e antinfiammatori? "Occorre valutare di quale terapia si tratti – tiene a precisare Geppetti – e se questa possa interferire non tanto con la malattia da Covid-19, quanto con le altre medicine che il paziente deve assumere per il trattamento del virus. In tal caso la decisione spetta al medico curante e allo specialista algologo. Certamente le terapie, per il dolore acuto o cronico, devono continuare. Ovviamente, è sempre bene consultare il proprio medico curante”. "Guai ad interrompere bruscamente l'assunzione dei farmaci – avverte Coaccioli – altrimenti si perdono quei vantaggi che gli stessi hanno dato nel corso dei mesi e degli anni. Inoltre, non esiste alcuna evidenza scientifica che la terapia con analgesici maggiori e minori, con il paracetamolo o con i derivati della morfina possano sortire eventi avversi a chi è positivo al Covid19”.
Per chi soffre di dolore cronico e che deve assumere le terapie per lunghi periodi di tempo sapere se gli analgesici e gli antinfiammatori che prende sono sicuri e vanno assunti anche in questo momento è importante. Per questo, l'Associazione italiana per lo studio del dolore ha messo a disposizione nel proprio sito – ( www.aisd.it ) – un'area dedicata a richieste di consulenza per qualunque paziente abbia bisogno di un consiglio, un suggerimento o un parere in questo periodo difficile: basta andare su questa pagina e compilare il modulo per la richiesta. “Circa il 20-25% della popolazione italiana soffre di dolore cronico benigno, con picchi del 60% sopra i 65 anni. È il nostro modo per non far sentire sole queste persone – sottolinea Coaccioli – mettendoci a loro disposizione tramite whatsApp, mail e canali social per assicurare un contatto. Invito i pazienti con dolore a contattare per via telematica o per telefono i propri professionisti di riferimento, perchè non si sentano esclusi dalla comunicazione".
"Dobbiamo fare uno sforzo comune tutti – prosegue – pazienti, medici, operatori sanitari in generale per non lasciare soli i pazienti. La principale richiesta che ci arriva da loro è infatti quella di rimanere in contatto con noi specialisti. Ma a preoccuparli è anche la continuità assistenziale e terapeutica. Per questo motivo, non solo lavoriamo per garantire le visite urgenti, ma per tutti gli altri, penso ai pazienti con patologie reumatologiche autoimmuni, auto-infiammatorie croniche, i piani terapeutici sono confermati così come alcuni farmaci per l'osteoporosi sono prorogati d'ufficio per 90 giorni”, conclude Coaccioli. Ma il dolore peggiore è la solitudine: per contrastare questo senso di abbandono che la concentrazione dell'informazione sul coronavirus ha generato tra le persone affette da dolore benigno e patologie reumatiche, AlfaSigma, azienda leader con una forte specializzazione nelle aree ortopedia e reumatologia, ha avviato l'iniziativa "Alfasigma News&service: l'informazione verificata ai tempi del coronavirus" che vuole trasmettere vicinanza ai pazienti e ai loro familiari con notizie utili e certificate. “Alfasigma News&service” tratterà, con l'aiuto di esperti, tutti quegli argomenti inerenti alle patologie reumatiche connessi al Covid-19 su cui si è riscontrata una carenza di comunicazione, mettendo il paziente nella condizione di poter essere protagonista attivo nel proprio percorso di cura e di poter migliorare la propria aderenza terapeutica.