Roma, 14 giu. – Sars-Cov-2, il virus responsabile della pandemia di Covid, in questi mesi è diventato più buono? E' una delle 10 domande rivolte dall'Adnkronos Salute a 18 esperti: rispondono virologi, epidemiologi, infettivologi, rianimatori e altri clinici, ma anche l'Organizzazione mondiale della sanità e il premio Nobel per la medicina Bruce Beutler. "Al momento è stata rilevata una mutazione – risponde Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all'Università Cattolica del Sacro Cuore -rispetto al ceppo di Wuhan sulla proteina D614g che lo ha resto più contagioso. Non ci sono ancora evidenze per dire che il virus sarebbe diventato 'più buono': quello che possiamo dire è che aumentano le segnalazioni di forme cliniche meno gravi. E questo può essere legato a vari fattori: il lockdown ha ridotto la circolazione, e cambia l'età dei soggetti colpiti, mentre nelle prime fase si sono ammalati i più fragili. Inoltre i tamponi sembrano rilevare una ridotta carica virale".
"Il lockdown, riducendo le occasioni di contagio, ha ridotto la diffusione del virus – osserva il virologo dell'università degli Studi di Milano Fabrizio Pregliasco – Per questo, vedendo pochi casi, la quota di casi gravi è limitata" anche perchè "si tratta di una malattia a basso rischio individuale". L'ipotesi che il nuovo coronavirus sia cambiato tuttavia va presa in considerazione, secondo l'esperto. In particolare, è "da verificare se il virus è mutato leggendo l'articolo non ancora pubblicato dell'università degli Studi di Brescia", che attraverso il presidente della Società italiana di virologia, Arnaldo Caruso, "ha anticipato l'isolamento di un virus meno aggressivo. Sarà importante verificare se questa variante si è diffusa". Pregliasco ritiene "plausibile che un virus tenda a modificarsi divenendo sempre meno letale, perchè così potrà diffondersi meglio".
"Lo dicono molti clinici, pneumologi, anestesisti – spiega Giorgio Palù, past president della Società europea di virologia e professore emerito di Microbiologia dell'università di Padova – che i sintomi sono meno aggressivi, che la morbosità è diminuita e questo può essere dovuto alla virulenza: quest'ultima è un tratto genetico del virus, che quindi o ha perso un gene o ha a un gene che si è iperattivato. Sappiamo che ci sono più di 8mila mutazioni, ma bisognerebbe studiarle tutte isolatamente e vedere che effetto fanno. In assenza di questi dati è corretto dire che stiamo diagnosticando e curando molto meglio la malattia, per cui è chiaro che vediamo casi meno gravi. Stiamo imparando di più e stiamo trattando di più, abbiamo visto ad esempio quali farmaci antivirali funzionano e quali no e questo di sicuro fa la differenza. E poi alla fine di un'epidemia (e qua siamo alla fine, con un Rt sotto 1 dovunque e 1 su 1000 positivo al tampone) un virus ha difficoltà a trasmettersi e, anche se lo fa, quella che si diffonde è una dose infettante ridotta".
"Non sappiamo se Sars-Cov-2 è diventato più buono, ma l'epidemia sembra perdere forza dopo 3-4 settimane 'aggressive', facendo ovunque curve abbastanza simili", evidenzia dal canto suo il virologo Guido Silvestri, docente negli Usa alla Emory University di Atlanta. I coronavirus "sono imprevedibili – ricorda Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell'università di Padova e direttore dell'Unità operativa complessa di microbiologia e virologia dell'azienda ospedaliera patavina – Secondo me, con questi livelli di trasmissione, ci stanno aiutando solo le condizioni climatiche favorevoli. Tutti i coronavirus studiati finora si sono dimostrati in qualche modo sensibili alle condizioni climatiche. Questo potrebbe non fare eccezione. Speriamo sia così".
Quanto alla possibilità che il virus abbia perso forza, "non è provata scientificamente – puntualizza – E' sotto gli occhi di tutti che i casi che ci sono adesso sono meno gravi di quelli che registravamo un po' di tempo fa. Secondo molti, questo è dovuto alla carica virale bassa". Crisanti osserva che "quando usiamo le mascherine e rispettiamo il distanziamento sociale, se ci infettiamo ci infettiamo sicuramente con molti meno virus rispetto a quelli con cui ci infetteremmo se non usassimo queste misure di protezione. In tutte le malattie la carica microbiologica ha un impatto sulla gravità. Non vedo perchè questo coronavirus debba far da eccezione".
"Non possiamo supporre che la tendenza al 'ribasso' della malattia si sia verificata naturalmente – fa notare il portavoce dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Tarik Jašarević, sentito dall'Adnkronos Salute – Tutto ciò è accaduto grazie alle severe misure di sanità pubblica messe in atto dai Paesi per spezzare la catene di trasmissione nelle comunità. Speriamo di poter mantenere bassi livelli di trasmissione nel tempo. Il mondo è ancora alle prese con una grande ondata della pandemia di Covid-19 e non c'è spazio per l'autocompiacimento. Tutti i Paesi, compresi quelli che stanno registrando meno casi e stanno allentando le restrizioni, devono continuare a rilevare e testare casi sospetti, isolare e trattare casi confermati e rintracciare tutti i loro contatti; promuovere pratiche igieniche adeguate; proteggere gli operatori sanitari; aumentare la capacità del proprio sistema sanitario". "In alcune località, il rischio di infezione è diminuito, ma in altre è ancora in aumento", nota invece Bruce Beutler, immunologo e genetista americano, premio Nobel per la Medicina 2011.
Sulla stessa linea del Nobel l'immunologa Antonella Viola, direttrice scientifica dell'Irp (Istituto di ricerca pediatrica)-Città della speranza di Padova: "Si e no", risponde l'esperta alla domanda se Sars-Cov-2 sia diventato più buono. "Nel nostro Paese, così come in Europa in generale, le misure messe in atto per combattere la pandemia hanno funzionato molto bene e hanno permesso di ottenere i risultati che sono sotto gli occhi di tutti: pochi contagi, ospedali tornati alla normalità, terapie intensive vuote. Ma in altre parti del mondo – osserva – il virus dimostra ancora chiaramente la sua forza: i contagi sono in aumento e ogni giorno muoiono circa 4mila persone" nel pianeta.
"Il virus fa il virus, cioè infetta, muta e si adatta sempre di più, al suo nuovo ospite che siamo noi – risponde Massimo Ciccozzi, responsabile dell'Unità di statistica medica ed epidemiologia molecolare dell'Università Campus Bio-Medico di Roma – 'Giocano' su questo la sua capacità di diffusione e la sua capacità di adattamento. Nel primo caso lockdown, distanza e mascherina hanno costituito contro la sua diffusione una sorta di pressione selettiva 'ambientale' importante. In più il virus, adattandosi a noi, cerca ovviamente di parassitarci senza essere cosi letale come all'inizio dell'epidemia". "La malattia non ha più il profilo clinico delle prime settimane, il carico virale è inferiore, alcuni gruppi segnalano infine un fenomeno di omoplasia (homoplasy) che potrebbe essere la base di un adattamento del virus all'ospite", risponde Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e virologia all'ospedale San Raffaele di Milano.