Roma, 4 giu. – Italiani promossi sul fronte del colesterolo: diminuiscono i valori riscontrati nella popolazione, sia per quello totale sia per quello 'cattivo' non-Hdl. È l'incoraggiante fotografia 'di casa nostra' che emerge dallo studio internazionale Ncd Risk Factor Collaboration, i cui risultati sono stati pubblicati oggi su 'Nature'. Un lavoro guidato dall'Imperial College di Londra, e con la partecipazione dell'Organizzazione mondiale della Sanità. Alla ricerca hanno contributo i dati raccolti dallo Studio 'Moli-sani' dell'Irccs Neuromed di Pozzilli.
Conoscere la situazione del colesterolo nelle popolazioni è uno strumento indispensabile per la prevenzione e la salute pubblica. Questo è l'obiettivo della ricerca Ncd-RisC, che ha utilizzato informazioni raccolte su 102,6 milioni di individui in 200 Paesi per un periodo di 39 anni, dal 1980 al 2018. Il nostro organismo ha naturalmente bisogno del colesterolo, un suo eccesso può portare a un accumulo nei vasi sanguigni. E quasi tutti hanno ormai imparato a distinguere quello "buono" (Hdl), protettivo contro infarto e ictus, dal "cattivo" o non Hdl, tipicamente legato a diete ricche di grassi saturi e trans, che avrebbe un ruolo importante nell'aumentare il rischio di patologie cerebro – cardiovascolari.
Lo studio ha rivelato che i livelli di colesterolo totale e non Hdl sono fortemente diminuiti nelle nazioni ad alto reddito, in particolare quelle dell'Europa nord-occidentale, Nord America e Australasia, mentre sono aumentati nelle nazioni a basso e medio reddito, in particolare in Oriente e nel Sud-est asiatico. In questo quadro l'Italia registra un netto miglioramento nel corso del tempo. Ad esempio, nel 1980 il nostro Paese era al ventunesimo posto mondiale per livello di colesterolo non Hdl negli uomini, mentre nel 2019 è passato alla quarantatreesima posizione. Situazione ancora migliore per le donne, che dalla posizione 30 sono scese alla 80.
"Ciò che emerge da questa ricerca – dice Simona Costanzo, epidemiologa dello studio 'Moli-sani' – è il risultato di un grande sforzo di prevenzione che tutte le nazioni occidentali, con l'Italia tra le più attive, hanno portato avanti nel corso degli anni. I medici di famiglia, le autorità sanitarie, le tante campagne informative, hanno aumentato la consapevolezza delle persone verso il problema del colesterolo e più in generale della prevenzione attraverso corretti stili di vita e, quando necessario, approcci farmacologici sotto la guida del proprio medico".
Alla ricerca del gruppo Ncd-RisC, spiega Licia Iacoviello, direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione e docente di Igiene e Salute pubblica all'Università dell'Insubria di Varese, "hanno contribuito diversi centri italiani. Questo è un ulteriore forte stimolo al nostro Governo a fornire il sostegno adeguato alla ricerca nel nostro Paese. Ci sono ancora tante vite da salvare: la prevenzione deve essere il fulcro della medicina dei prossimi anni". E c'è molto ancora da fare soprattutto per i Paesi in via di sviluppo. "Per la prima volta – dice Majid Ezzati, dell'Imperial School of Public Health di Londra, capo della ricerca – i livelli più alti di colesterolo non Hdl li troviamo al di fuori del mondo occidentale. Ciò suggerisce che ora dobbiamo attuare in tutto il mondo politiche che spostino le diete dai grassi saturi a quelli non saturi, e preparare sistemi sanitari adeguati per trattare con medicine efficaci coloro che ne hanno bisogno".
"Contribuire alla salute di tutti i cittadini del mondo – commenta Giovanni de Gaetano, presidente dell'Irccs Neuromed – è sempre stato l'obiettivo principale dello Studio Moli-sani. Essere parte integrante di un grande sforzo internazionale per la prevenzione delle patologie cardio e cerebro-vascolari rappresenta un grande risultato, non solo per il nostro Istituto ma per tutti quegli abitanti del Molise che da oltre quindici anni partecipano volontariamente a questa grande impresa scientifica".