Aumentano i sintomi da non sottovalutare per capire se si è stati contagiati dal Covid 19. Il Covid 19 è stato definita una malattia dai mille volti. A sottolinearlo sono molti medici di ogni parte del mondo che stanno curando i contagiati, e che ogni giorno imparano qualcosa in più sugli effetti del nuovo coronavirus, sui sintomi e i 'danni' che provoca all'organismo umano. Dunque a tosse e febbre, i primi 'segnali' registrati in ordine di tempo, si sono aggiunti con il passare dei giorni la perdita dell'olfatto, spesso associata alla mancanza del senso del gusto, ma anche – più recentemente – sintomi gastrointestinali, dermatologici, cardiaci. A descrivere le diverse forme cliniche con cui si manifesta l'infezione, ma non solo, sono le pubblicazioni scientifiche che 'lievitano' di giorno in giorno.
Lavori scientifici che evidenziano anche la complessità del profilo clinico e biologico di alcuni pazienti: ad esempio sono stati illustrati casi di infezione asintomatica in alcune persone che presentavano però, dal tampone naso-faringeo, una carica virale simile a quella osservata nei pazienti sintomatici. Allo stesso modo, ci sono stati casi di pazienti moderatamente sintomatici che avevano anomalie polmonari significative visibili agli esami del torace. Questa una rassegna delle principali pubblicazioni scientifiche, segnalate dal quotidiano francese 'Le Monde', che mostrano la complessità della malattia causata dal Sars-CoV-2 e che aggiungono, di volta in volta, nuove tessere al puzzle ancora molto incompleto delle conoscenze.
INFLUENZA E COVID-19 – Naso che cola, febbre, tosse, lombalgia, affaticamento: i primi sintomi di Covid-19 sono paragonabili a quelli dell'influenza. E' comprensibile che non sia stato facile distinguere tra queste due patologie lo scorso gennaio in Cina, come evidenziato da un caso riportato l'11 marzo sulla rivista 'Emerging Infectious Diseases'. La storia è quella di un uomo di 69 anni ricoverato al China-Japan Friendship Hospital di Pechino per febbre e tosse secca. Il paziente, che si era recato a Wuhan tra il 18 dicembre 2019 e il 22 gennaio 2020, ha iniziato a manifestare sintomi il 23 gennaio. Lo scanner toracico ha poi mostrato immagini anomale del polmone destro. Il suo recente viaggio nella città epicentro dell'epidemia allerta l'assistenza sanitaria. I tamponi nasofaringei sono negativi per Sars-CoV-2, ma positivi per l'influenza A.
Il paziente lascia l'ospedale, ma i medici gli chiedono di rimanere confinato a casa. Le sue condizioni cliniche si stanno deteriorando, per cui viene ricoverato di nuovo in ospedale. Gli esami toracici questa volta mostrano un danno polmonare diffuso, che indica una sindrome respiratoria acuta grave. Il quarto test diagnostico Pcr sull'espettorato è ancora negativo. Eseguono quindi una broncoscopia con la raccolta di liquido bronco-alveolare. Sofisticati esami di biologia molecolare rivelano finalmente la presenza di materiale genetico di Sars-CoV-2 nel fluido bronco-alveolare, e il test Pcr (esame della proteina C-reattiva rilasciata nel sangue poco dopo l'inizio di un'infezione, un'infiammazione o un danno ai tessuti), risulta positivo. Questo caso clinico mostra la difficoltà di diagnosticare Covid-19 in caso di falsi risultati negativi su campioni nasofaringei ma positivi per un altro virus respiratorio.
PAZIENTI POSITIVI ANCHE DOPO LA 'GUARIGIONE' – Un'altra situazione complessa è quella dei pazienti curati da Covid-19 in cui il virus Sars-CoV-2 continua a essere rilevabile. I radiologi e i biologi dell'ospedale di Hongnan dell'Università di Wuhan hanno riferito il 27 febbraio sul 'Journal of the American Medical Association' (Jama) il caso di 4 pazienti, operatori sanitari, che erano stati esposti al coronavirus. Tutti hanno un test Pcr positivo e gli Rx al torace mostrano immagini polmonari anormali. In questi 4 pazienti la malattia di Covid-19 è da lieve a moderata, dunque viene permesso loro di lasciare l'ospedale dopo che l'équipe medica ha osservato la risoluzione dei sintomi e delle anomalie polmonari, nonché la mancanza di rilevamento dell'Rna virale in due serie di campioni di vie aeree superiori a intervalli di 24 ore. A seconda dei casi, tra 12 e 32 giorni trascorsi tra l'insorgenza dei sintomi e la cura.Non solo: al momento della dimissione dall'ospedale e alla fine della quarantena il test Pcr su campioni respiratori tra il 5 e il 13esimo giorno continuano ad essere positivi. Casi emblematici, questi, che suggeriscono quindi come una piccola percentuale di pazienti curati può ancora essere portatore del coronavirus.
SINTOMI GASTROINTESTINALI – Sono diversi gli studi che descrivono la presenza di sintomi gastrointestinali nell'infezione da Sars-CoV-2. Alcuni casi, registrati in Cina, riferiscono di pazienti Covid-19 che come primo sintomo hanno avuto diarrea e addirittura, in casi più rari, i pazienti hanno solo sintomi gastrici senza quelli respiratori. Pubblicato il 28 marzo sull''American Journal of Gastroenterology', uno studio retrospettivo ha coinvolto 204 pazienti di età media 54 anni. Di questi più della metà, 103 pazienti, ha avuto uno o più sintomi gastrointestinali, in 97 casi accompagnati a quelli respiratori gli altri no. In totale il 18% dei pazienti analizzati ha presentato almeno un sintomo gastrointestinale specifico (diarrea, nausea, vomito o dolore addominale), e spesso ha anche un aumento del livello di enzimi epatici. Gli autori dello studio hanno anche notato che il periodo che intercorre tra l'insorgenza dei sintomi gastrointestinali e il ricovero è significativamente più lungo (9 giorni) rispetto agli altri (7 giorni).
Ma come si spiega questa sintomatologia? I ricercatori avanzano diverse ipotesi. In primo luogo, Sars-CoV-2 è simile al coronavirus responsabile della Sars (Sars-CoV). Entrambi usano il recettore Ace2 come 'porta d'ingresso' nelle cellule che infettano. Il virus della Sars provoca danni al fegato aumentando l'espressione del recettore Ace2 nel fegato, quello del nuovo coronavirus può anche danneggiare, direttamente o indirettamente, il sistema digestivo attraverso la risposta infiammatoria del corpo. Diversi studi hanno anche dimostrato la presenza del materiale genetico del virus nelle feci (fino al 53% dei pazienti analizzati). Infine, la presenza di coronavirus può interrompere il microbiota intestinale, e per questo sono in corso studi per analizzare l'impatto della Sars-CoV-2 sulla flora batterica intestinale. A conferma della presenza dei sintomi gastrointestinali, c'è anche uno studio italiano, condotto da ricercatori dell'Università Sapienza e Tor vergata di Roma, pubblicato sulla rivista 'Cureus Journal of Medical Science' – che ritiene questi sintomi una importante 'spia' del coronavirus, dal momento che in alcuni casi compaiono prima ancora dei classici problemi respiratori o addirittura restano gli unici sintomi di Covid-19. Da qui l'invito dei ricercatori a non sottovalutarne la comparsa, come spesso accade.
TRASMISSIONE ORO-FECALE – Su questo tema ci sono ancora pochi studi, dunque è difficile trarre conclusioni su una trasmissione del virus attraverso questa modalità. Ma uno studio pediatrico cinese, pubblicato il 13 marzo su 'Nature Medicine', ha mostrato che in 8 bambini il virus era presente nelle feci, mentre i campioni nasofaringei erano negativi. Una evidenza, questa, che lascia aperta la possibilità di una trasmissione oro-fecale da feci infette. Allo stesso modo, uno studio cinese pubblicato l'11 marzo sul 'Jama', condotto su 205 adulti con Covid-19, ha rilevato attraverso la Pcr la presenza di coronavirus nel 29% dei campioni fecali (44 su 153 analizzati). Particelle virali vitali sono state osservate anche nella microscopia elettronica in quattro campioni di feci di due pazienti che non avevano diarrea. Infine, uno studio dell'Università cinese di Hong Kong, pubblicato il 28 marzo sul 'Journal of Microbiology, Immunology and Infection', ha evidenziato che Sars-CoV-2 può restare nell'apparato digestivo più a lungo che in quello respiratorio. Il coronavirus infatti scomparve dalle vie aeree all'incirca entro 2 settimane dal calo della febbre, mentre l'Rna virale era talvolta rilevabile nelle feci per più di 4 settimane. Anche in questo caso, la persistenza del virus nelle feci fa propendere sull'ipotesi di una possibile trasmissione oro-fecale. Tutti questi risultati sottolineano ancora di più l'estrema importanza dell'igiene, in particolare il lavaggio delle mani, per evitare – anche se non ancora confermata – una eventuale trasmissione oro-fecale.
SINTOMI DERMATOLOGICI – Molto recentemente, anche le manifestazioni cutanee legate a Covid-19 hanno attirato l'attenzione dei dermatologi. In questo caso di quelli lombardi che, nella fase emergenziale, si sono trovati, come gli altri medici, in prima linea. Le loro osservazioni quotidiane si sono tradotte in uno studio, pubblicato il 26 marzo sulla rivista 'European Academy of Dermatology'. Un articolo anomalo, per questa branca della medicina, perché privo di fotografie, in quanto ai medici era impossibile girare da una stanza all'altra con una macchinetta potenzialmente contaminata dal virus. In totale, degli 88 pazienti studiati, 18 (20%) hanno presentato manifestazioni cutanee: 8 all'inizio della malattia e 10 durante il ricovero. Si trattava di eruzioni cutanee eritematose (arrossamento), orticaria diffusa o addirittura vescicole, lesioni più spesso concentrate sul tronco che guarivano in pochi giorni, non proporzionali alla gravità della malattia, e che assomigliavano più ai sintomi osservati nelle comuni infezioni virali.