Roma, 12 feb. – "Saranno pronte per i test clinici entro l'estate le prime 1000 dosi" di un vaccino contro il nuovo coronavirus, ora ribattezzato dall'Oms Covid-19, che ha un 'cuore italiano'. "E auspichiamo che la sperimentazione sull'uomo possa iniziare in autunno". A parlarne con l'Adnkronos Salute è Matteo Liguori, managing director di Irbm Science Park SpA, società con base a Pomezia che sta collaborando, attraverso la sua divisione vaccini Advent Srl, con lo Jenner Institute dell'Università di Oxford per la produzione di un primo lotto del siero dal nome provvisorio 'ChAdOx1 nCoV-19'.
Molte aziende nel mondo sono al lavoro per mettere a punto uno 'scudo' in grado di annientare il nuovo coronavirus, e il dibattito si incentra soprattutto sui tempi necessari a portare a termine il lavoro e mettere finalmente a disposizione della popolazione un vaccino: "Il tema dei tempi – spiega Liguori – è molto delicato perchè nei giorni scorsi sono state diffuse notizie scientificamente non sostenibili. Ieri l'Oms ha fatto chiarezza parlando di 18 mesi come tempi di riferimento. Per quanto riguarda noi, i tempi dipenderanno dall'andamento dell'epidemia, sempre considerando che, anche se i contagi si ridurranno, un vaccino sarà comunque utile a circoscrivere le infezioni e a non farle ulteriormente diffondere nel mondo", evidenzia.
"Noi – assicura – abbiamo già avviato le procedure per la produzione di un primo lotto di vaccino per i test clinici. Entro l'estate speriamo che possano iniziare i test. Per la produzione del vaccino riusciremo molto probabilmente ad accorciare i tempi rispetto agli iter tradizionali perchè utilizziamo una piattaforma già impiegata con successo più volte per altre malattie infettive".
Il vaccino è costruito utilizzando una versione non 'pericolosa' di un adenovirus: un virus che può causare una comune malattia simile al raffreddore. L'adenovirus è stato modificato in modo da non riprodursi nel nostro organismo e inserendo all'interno del genoma adenovirale il codice genetico necessario alla produzione della proteina 'Spike' del coronavirus, in modo da permettere all'adenovirus l'espressione di questa proteina in seguito alla somministrazione del vaccino. Ciò comporta la produzione di anticorpi contro la proteina 'Spike' che si trova sulla superficie dei coronavirus. Negli individui vaccinati, gli anticorpi prodotti contro la proteina 'Spike', possono legarsi al coronavirus che è entrato nell'organismo umano ed impedirgli di causare un'infezione.
L'inoculo virale del siero per metà italiano è attualmente in produzione nella Clinical Biomanufacturing Facility di Oxford e sarà a breve trasferito nei laboratori di Advent a Pomezia, che procederà alla produzione di 1.000 dosi di vaccino da utilizzare per i test clinici.
"Abbiamo una lunga storia di collaborazione con lo Jenner Institute – precisa il managing director di Irbm – su diversi progetti. Loro stanno lavorando da tempo sui coronavirus in generale, con un progetto che hanno portato ora in fase I contro la Mers. Advent ha invece una speciale expertise sull'adenovirus, che è un vettore virale. Abbiamo unito queste due forze per dare una sensibile accelerazione nel cercare di ottenere il prima possibile un vaccino. Lo Jenner Institute a breve ci farà arrivare il materiale virale per lo sviluppo nei nostri laboratori, che metteremo poi in produzione e che nell'arco di prima dell'estate auspichiamo di trasferire a loro per le fasi successive di sperimentazione".
"La fase standard – ricorda – prevede test sugli animali e poi sull'uomo, però non è scontato che avvenga, dipende da come si svilupperà l'epidemia: in altre situazioni si sono adottati sistemi che hanno accelerato molto i passaggi, giungendo anche direttamente agli studi sull'uomo. Abbiamo la concreta aspettativa di accelerare perchè si sta lavorando h 24 tutti su questo, sia noi che le istituzioni coinvolte. Il piano di sviluppo non lo abbiamo ancora rilasciato, ci sono molteplici fattori in gioco, ma possiamo dire che queste prime 1.000 dosi verranno prodotte da qui all'estate grazie all'unione delle forze in gioco".
"Nel 2014 – ricorda – abbiamo sviluppato e prodotto il vaccino contro l'Ebola e le procedure sono state molto rapide, praticamente in tempi inimmaginabili. Speriamo sia così anche in questo caso. Già superare la fase clinica 1 escludendo effetti di tossicità e avere successo nella fase clinica 2, dove si testa l'efficacia del vaccino, vorrebbe dire renderlo disponibile molto velocemente", precisa Liguori.
Una volta ottenuto il vaccino, "di solito si procede immunizzando per primi coloro che sono a maggiore rischio di esposizione, come gli operatori sanitari". E se il virus dovesse mutare e non 'rispondere' all'attacco del vaccino? "C'è bisogno di tempo affinchè un virus muti e non ci sono evidenze che questo stia avvenendo. Ora lo conosciamo e il nostro lavoro sarà comunque una corsa contro il tempo, ma non per il rischio di mutazione virale, quanto più per interrompere l'epidemia. Siamo lieti di poter mettere a disposizione le nostre conoscenze, frutto della ricerca scientifica italiana, oltre alla capacità produttiva", conclude.