Milano, 6 feb. – Torna di nuovo in un'Aula il caso delle protesi al seno Pip, prodotte dall'azienda francese Poly Implant Prothèse e risultate riempite con silicone non medico, ma industriale non autorizzato. Questa volta a occuparsene è la Corte Ue, chiamata in causa sulla vicenda di una paziente tedesca. Alla donna nel 2006 erano state impiantate le protesi difettose, in Germania. L'impresa produttrice è attualmente insolvente. La paziente chiede il risarcimento davanti ai giudici tedeschi alla compagnia di assicurazione francese Allianz Iard, con la quale la Pip aveva stipulato un'assicurazione di responsabilità civile, obbligatoria in Francia.
Peccato che nel contratto di assicurazione c'è una clausola territoriale che limita la copertura dei danni solo a quelli causati in Francia. Quindi le protesi Pip esportate in un altro Stato membro non rientrano. Da qui la richiesta dell'Oberlandesgericht Frankfurt am Main (Tribunale superiore del Land, Francoforte sul Meno): i giudici tedeschi vogliono sapere se il fatto che l'azienda Pip fosse assicurata dalla Allianz per i danni causati dalle sue protesi solo sul territorio francese sia compatibile con il principio di non discriminazione in base alla nazionalità (articolo 18 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea). Oggi le conclusioni dell'avvocato generale della Corte Ue Michal Bobek, il quale ha riconosciuto che il caso di specie rientra nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione.
In particolare, i dispositivi medici che hanno causato un danno alla paziente erano stati immessi nel mercato in tutta l'Unione europea. Pertanto il danno è stato, in un certo senso, una conseguenza degli scambi di merci all'interno dell'Unione, è il ragionamento. Per l'avvocato generale, però, la Francia poteva decidere legittimamente di introdurre un livello più elevato di tutela per i pazienti e gli utilizzatori di dispositivi medici attraverso polizze assicurative più favorevoli applicabili nel suo territorio. In mancanza di armonizzazione, spetta agli Stati membri regolamentare tali polizze, anche quando i dispositivi sono importati da un altro Stato membro.
Bobek ha esaminato le disposizioni di diritto dell'Unione che potrebbero applicarsi al caso della paziente tedesca. E osserva che il diritto derivato dell'Unione non contiene disposizioni specifiche relative all'assicurazione della responsabilità civile per danni causati ai destinatari finali di dispositivi medici. La circostanza che l'assicurazione non 'viaggia' in Germania con le merci, anche se è obbligatoria in Francia per l'uso successivo di tali merci in Francia, non rientra nelle disposizioni sulla libera circolazione delle merci. Quanto all'articolo 18 del Tfue, il fatto che le merci siano giunte un giorno da un altro Stato membro non è per l'avvocato generale della Corte Ue un motivo sufficiente per suggerire che qualsiasi questione riguardante successivamente tali merci sia disciplinata dal diritto dell'Unione. Bobek fa notare che un'interpretazione espansionistica dell'articolo 18 Tfue potrebbe rendere la legislazione di un qualsiasi Stato membro potenzialmente applicabile sullo stesso territorio senza criteri chiari e oggettivi su quale normativa debba prevalere in una determinata controversia, e con la possibilità per la vittima di scegliere la normativa più favorevole.
Tutto questo, fa notare ancora l'avvocato generale, non solo sposterebbe qualsiasi territorialità nell'applicazione delle leggi, ma creerebbe anche conflitti di regimi normativi tra gli Stati membri. Mentre circolano liberamente sul territorio di un altro Stato membro – è la conclusione – le merci devono rispettare le norme di tale Stato nell'esercizio della sua autonomia normativa. (Adnkronos)