Tumore, ammalarsi non è una questione di sfortuna ma è colpa delle traslocazioni cromosomiche. Lo annuncia uno studio dei ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano.
I ricercatori hanno infatti scoperto che alcune delle alterazioni del Dna più frequenti e importanti per lo sviluppo del cancro, chiamate ‘traslocazioni cromosomiche’, non avvengono per caso come ipotizzato finora, ma sono prevedibili e provocate da segnali che giungono alla cellula dall’ambiente esterno, condizionato dal nostro stile di vita e dall’ambiente in cui viviamo. La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Genetics e finanziato dallo European Research Council (ERC). I ricercatori, guidati da Piergiuseppe Pelicci, Direttore della Ricerca IEO e Professore di Patologia Generale all’Università di Milano, e Gaetano Ivan Dellino, ricercatore IEO e di Patologia Generale dell’Università di Milano, in collaborazione con il gruppo diretto da Mario Nicodemi, Professore all’Università di Napoli Federico II, hanno scoperto che una delle alterazioni geniche più frequenti e importanti per lo sviluppo del cancro, le “traslocazioni cromosomiche”, non avvengono casualmente nel genoma, ma sono prevedibili e sono provocate dall’ambiente esterno alla cellula.
“Nel corso della vita, un uomo su 2 e una donna su 3 si ammalano di cancro – spiega Pelicci – Perché? Un tumore si sviluppa quando una singola cellula accumula 6 o 7 alterazioni del DNA a carico di particolari geni: i geni del cancro. La domanda diventa quindi cosa causa quelle alterazioni. La ricerca di una risposta ha creato due scuole di pensiero: una che identifica la causa principale nell’ambiente in cui viviamo e nel nostro stile di vita, e l’altra che ne attribuisce l’origine alla casualità e dunque, in ultima analisi, alla sfortuna”.
L’ipotesi di Vogelstein
I tumori contengono due tipi di alterazioni a carico dei cosiddetti geni del cancro (oncogeni): le mutazioni, che causano piccoli cambiamenti della struttura di un gene, e le traslocazioni cromosomiche, che causano addirittura la fusione di due geni. La rivista Science ha recentemente pubblicato tre lavori (nel 2016, 2017 e 2018) firmati da Bert Vogelstein, uno degli scienziati contemporanei più autorevoli, che dimostrano in maniera inequivocabile che due terzi delle mutazioni trovate nei tumori si formano durante la normale vita dei nostri tessuti, quando le cellule duplicano il proprio DNA per moltiplicarsi.
Siccome queste mutazioni sono considerate inevitabili, perché dovute ad errori casuali, Vogelstein ha dovuto concludere che le stesse avverrebbero in ogni caso, anche se il nostro fosse un pianeta perfetto, e i nostri stili di vita irreprensibili. Quindi non possiamo fare nulla per evitare di ammalarci di cancro, e possiamo solo sperare che non tocchi a noi, contando sulla fortuna. I tre lavori pubblicati da Science sono scientificamente solidi, ed hanno stimolato un grande dibattito sia nella comunità scientifica che nella società, finendo sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Se la maggioranza delle mutazioni che causano il cancro sono casuali, quanti e quali sono i tumori che possiamo evitare? Qualsiasi sia la risposta, la possibilità di determinare la nostra salute mediante le nostre scelte ne esce compromessa. In particolare, quanto è ancora importante la prevenzione dei tumori dopo la pubblicazione di questi lavori?
“Nel numero di oggi della rivista scientifica Nature Genetics – commenta Dellino – pubblichiamo un lavoro che mette in discussione la casualità delle traslocazioni cromosomiche, uno dei due tipi di alterazioni geniche trovate nei tumori. Le traslocazioni sono la conseguenza di un particolare tipo di danno a carico del DNA, ossia la rottura della doppia elica. Come per le mutazioni, pensavamo che questo tipo di danno avvenisse casualmente nel genoma, ad esempio durante la divisione cellulare, come ipotizzato da Vogelstein.
Come avvengono le alterazioni dei geni
Al contrario, studiando le cellule normali e tumorali del seno, abbiamo scoperto che né il danno al DNA né le traslocazioni avvengono casualmente nel genoma. Il danno avviene all’interno di geni con particolari caratteristiche ed in momenti precisi della loro attività. Si tratta di geni più lunghi della media e che, pur essendo spenti (non stanno cioè producendo le molecole che trasferiscono la loro informazione: l’RNA), sono perfettamente attrezzati per accendersi (hanno cioè tutte le molecole necessarie, ma sono in pausa). La rottura del DNA avviene nel momento in cui arriva un segnale che li fa accendere, ed è indispensabile perché possano “srotolarsi” e produrre l’RNA. Studiando queste caratteristiche, possiamo prevedere quali geni si romperanno e quali no, con una precisione superiore all’85%.
Tuttavia, non tutti i geni che normalmente si rompono daranno poi origine a traslocazioni (cioè alla fusione di due geni rotti), ma solo una piccola parte di essi, cioè quelli che sono più frequentemente a stretto contatto tra loro per coordinare la loro attività di accensione o spegnimento, all’interno di strutture particolarmente “appiccicose” del genoma (i cosiddetti Domini di Associazione Topologica). La questione centrale, che cambia la prospettiva della casualità del cancro, è che l’attività di quei geni è controllata da segnali specifici che provengono dall’ambiente nel quale si trovano le nostre cellule, e che a sua volta è influenzato dall’ambiente in cui viviamo e dai nostri comportamenti (per esempio dall’apporto di energia, dal tipo di microbi con cui conviviamo, dalle sostanze che ingeriamo, ecc.), non certo dalla sfortuna”.
“Questa scoperta– continua Pelicci – ci insegna che la sfortuna non svolge alcun ruolo nella genesi delle traslocazioni e che, di conseguenza, non esiste base scientifica che ci autorizzi a sperare nella fortuna per evitare di ammalarci di tumore. Anzi, abbiamo ora un motivo scientifico in più per non allentare la presa sulla prevenzione dei tumori: nei nostri stili di vita, nel tipo di mondo che pretendiamo, nei programmi di salute che vogliamo dal nostro servizio sanitario". "Anche nel tipo di ricerca scientifica che vogliamo promuovere: ad oggi, i fondi per la ricerca in prevenzione sono solo il 5-10% del finanziamento totale alla ricerca sul cancro. Inoltre, abbiamo aperto una finestra sul meccanismo molecolare che è alla base di una delle alterazioni che causa cancro, le traslocazioni, e che forse potremo usare in futuro come marcatore per identificare il rischio di sviluppare la malattia, o come bersaglio per disegnare farmaci che aiutino a prevenire il cancro", prosegue Pelicci, "per ora non abbiamo capito quale sia esattamente il segnale che induce la formazione delle traslocazioni, ma abbiamo capito che proviene dall’ambiente, pur ignorando ancora luoghi e circostanze. È possibile, infine, che il medesimo meccanismo, o uno simile, possa essere anche alla base delle mutazioni studiate da Vogelstein. Ci stiamo lavorando”.
Il 40% dei tumori può essere prevenuto
Ad oggi conosciamo con certezza alcuni dei fattori ambientali che causano il cancro: fumo, alcool, obesità, inattività fisica, eccessiva esposizione al sole, una dieta ad alto contenuto in zuccheri e carni rosse o processate, e a basso contenuto di frutta, legumi e vegetali. La comunità scientifica concorda sul fatto che se tutti questi fattori fossero eliminati – e ciascuno è eliminabile – potremmo prevenire il 40 per cento dei tumori. Conosciamo inoltre alcuni virus e batteri che causano cancro: il virus HPV causa il cancro della cervice e della faringe, il virus HBV quello del fegato, il batterio Helicobacter pylori quello dello stomaco. La vaccinazione contro quei virus e l’uso degli antibiotici contro quel batterio hanno dato risultati straordinari nella riduzione dell’incidenza dei tumori, e hanno il potenziale di evitare, da soli, il 15 per cento dei tumori nel mondo.
Anche l’esposizione ad agenti inquinanti ambientali, occupazionali o industriali è causa di una frazione dei tumori. Purtroppo, però, a parte alcune eccezioni, come ad esempio l’amianto, non abbiamo ancora ben capito quali siano esattamente e quanto incidano. “Un pianeta più pulito, e ambienti di lavoro più sani, intuibilmente, non possono che farci bene – conclude Pelicci- e, per quanto oggi sappiamo, ciascuno di noi può scegliere se prevenire il 40% dei tumori, con pochi e precisi cambiamenti del modo in cui viviamo. La comunità scientifica lavorerà sul restante 60 per cento. A patto che ci siano fondi sufficienti per la ricerca”. (Agi)