Quando si discute di cannabis, capita spesso di sentire parlare di piante femminili o maschili. Come si distinguono? Il primo criterio è la consapevolezza delle peculiarità dei semi. Nel caso in cui, per esempio, si opta per l’acquisto di semi autofiorenti femminizzati, soluzioni vantaggiose per chi è alle prime armi e ha intenzione di risparmiare energie con la gestione della luce e il rinvasamento, si sa già da cosa si parte. A pianta cresciuta, però, come si fa ad attuare una distinzione efficace? Scopriamolo assieme nelle prossime righe di questo articolo.
Sesso delle piante di cannabis: come capirlo
Come capire, nel momento in cui si è privi di informazioni in merito alle caratteristiche dei semi, se ci si trova davanti a una pianta di cannabis di sesso maschile o femminile? La prima cosa da dire al proposito riguarda il fatto che, tranne che per rare eccezioni, legate nello specifico all’occhio di coltivatori di grandissima esperienza, è impossibile arrivare a capire qualcosa nel corso della fase vegetativa. Per raggiungere conclusioni un po’ più chiare, è necessario arrivare al momento della fase che precede la fioritura. Ecco le situazioni con cui si può avere a che fare:
- Formazione, a seguito di un periodo di 2/3 giorni di buio per le piante, nella zona dove poi sorgerà il fiore di una sorta di sacchettino privo di pistilli;
- Presenza del medesimo sacco, accompagnato da due o tre pistilli.
Nel primo caso, si ha a che fare con piante di cannabis maschili, mentre nel secondo con esemplari femminizzati.
Cosa fare, invece, nei casi in cui si ha davanti una pianta adulta? In questi frangenti, la prima cosa da guardare sono le foglie. Nel momento in cui si parla di piante di cannabis maschili, le foglie sono presenti in quantità minori e, in generale, gli steli si presentano più robusti e spessi. Le foglie delle piante femminili, invece, sono maggiori dal punto di vista quantitativo, soprattutto nella zona apicale. Ovviamente il discorso vale considerando piante della medesima varietà.
I vantaggi delle piante femmine (e un cenno a quelli degli esemplari di sesso maschile)
Anche chi ha una conoscenza sommaria del mondo della cannabis sa bene che le piante di sesso femminile sono considerate l’optimum per le coltivazioni e per la successiva creazione di prodotti a base di canapa. Come mai? Perché dalle piante appena citate si possono ricavare le infiorescenze, che sono tra i prodotti più venduti dagli hemp shop sia online, sia offline. Inoltre, le piante di cannabis di sesso femminile sono quelle che producono più THC, il che rappresenta un oggettivo vantaggio nel momento in cui si coltiva rivolgendosi al mercato medico. In linea di massima, i coltivatori fanno di tutto per eliminare il prima possibile le piante di cannabis di sesso maschile. Attenzione, però: quando le si nomina, è necessario rammentare anche dei vantaggi interessanti. Il principale è legato alla loro capacità di produrre semi. Non bisogna dimenticare che, da questo punto di vista, le piante di sesso femminili concretizzano la produzione solamente nell’eventualità di un contatto con il polline maschile.
Un doveroso cenno deve essere dedicato anche all’impiego che si ha intenzione di mettere in primo piano. Un coltivatore che produce cannabis con lo scopo di presidiare il mercato del tessile – il filato ricavato dalla canapa è uno dei più sostenibili in assoluto – troverà nelle piante di cannabis di sesso maschile una soluzione migliore. Come mai? Perché le loro fibre sono migliori dal punto di vista della resistenza e della flessibilità. Nel caso delle piante di sesso femminile, quando si parla di fibre si può avere a che fare con un livello eccessivo di rigidità.
Concludiamo rammentando l’esistenza delle piante ermafrodite, che sono caratterizzate sia dalla presenza dei fiori, sia da quella delle tasche polliniche.