Il coronavirus SARS-CoV-2 è in grado di invadere il cervello e può scatenare una neuropatologia con effetti molto simili al morbo di Alzheimer, la più diffusa forma di demenza al mondo. A dirlo è un nuovo studio che ha analizzato il tessuto cerebrale di cinque pazienti affetti da COVID-19, l’infezione provocata dal patogeno pandemico. I risultati dell’indagine confermano il significativo impatto che il virus può avere sul sistema nervoso centrale, come rilevato da molteplici studi condotti fino ad oggi. Non a caso in moltissimi pazienti Covid si manifestano evidenti disturbi neurologici – dalla famigerata “nebbia mentale” alla perdita di olfatto e gusto -, mentre fino a un terzo dei sopravvissuti alla malattia sviluppa malattie del cervello, come indicato dagli autori del nuovo studio. Il legame con il morbo di Alzheimer era stato rilevato anche nella ricerca “Dysregulation of brain and choroid plexus cell types in severe COVID-19” dell’Università di Stanford pubblicata su Nature, nella quale era stato dimostrato che i pazienti infettati sviluppavano deficit cognitivi e condizioni neurodegenerative affini a quelle della comune forma di demenza.
A determinare che il coronavirus SARS-CoV-2 può invadere il cervello e provocare una patologia simile all’Alzheimer (o peggiorarla se già presente) è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del Dipartimento di Ostetricia, Ginecologia e Scienze della Riproduzione della Scuola di Medicina dell’Università del Maryland, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Microbiologia e Immunologia, del Centro di ricerca sulla malattia di Alzheimer di Shiley-Marcos e del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università della California di San Diego. I ricercatori, coordinati dal professor Wei-Bin Shen, docente presso la Facoltà di Medicina dell’ateneo di Baltimora, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver sottoposto a specifici esami di laboratorio il tessuto cerebrale di cinque pazienti: uno affetto da morbo di Alzheimer, due con disturbi dello spettro autistico (autismo), uno con Demenza frontotemporale (FTD) e un altro ancora in salute, senza apparenti condizioni sottostanti.
Il professor Bin Shen e i colleghi sono “andati a caccia” di proteine del coronavirus SARS-CoV-2 all’interno dei tessuti cerebrali, partendo dal presupposto che i neuroni esprimono sia il recettore ACE-2 (che favorisce i processo di infezione facendo agganciare la proteina S o Spike del virus) che la neuropilina-1 o NRP1, anch’essa un facilitatore dell’ingresso nelle cellule umane. I ricercatori hanno cercato proprio la proteina S o Spike e quella del nucleocapside, rivelandole in tutti e cinque i campioni a livello della corteccia cerebrale. Dalle analisi della corteccia hanno è stato osservato che il patogeno pandemico induce o amplifica la neuropatologia riconducibile al morbo di Alzheimer catalizzando l’aggregazione di beta-amiloide (una proteina “appiccicosa” associata alla neurodegenerazione), la formazione di placche, la tauopatia (patologia neurodegenerativa legata a proteine), neuroinfiammazione e morte delle cellule.
Il coronavirus SARS-CoV-2 infetta i neuroni maturi ma non quelli immaturi “derivati cellule staminali pluripotenti inducibili da individui sani e affetti da Alzheimer attraverso il suo recettore ACE2 e il facilitatore neuropilina-1”, scrivono gli scienziati nell’abstract dello studio.