Il presidente in questione è quello dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, eletto in regolari e democratiche elezioni. Dopo averlo visto ai microfoni, con indosso una t-shirt pochissimo formale, nei telegiornali di ora di pranzo del 25 febbraio, pochissimo tempo dopo, sui social cominciano a circolare foto e video che lo vedono con l’uniforme militare e, in alcune anche con l’elmetto, in quelle che potrebbero essere trincee o comunque postazioni difensive o tra automezzi militari. Zelensky ha dunque ed evidentemente fatta la sua scelta, forse, ma non obbligatoriamente, quella di prendere anch’egli le armi per difendere il suo Paese dall’invasione russa. Scelta tanto più apprezzabile ed ammirevole nel momento in cui tutti gli uomini, anche anziani, della nazione ucraina, sono stati armati per difendere la loro terra. Non ricordo in questo momento se e quanti altri presidenti, nella storia più lontana, o in quella recente, hanno avuto il coraggio di tale scelta.
Ma uno, un altro presidente, rimane indelebilmente scolpito nella memoria di una generazione, la mia, quella dei ventenni degli anni settanta. Quarantanove anni fa, un 11 settembre, era il 1973, un presidente, anch’egli eletto democraticamente, in Cile, sotto l’attacco dei militari felloni del generale Pinochet, indossò l’elmetto e imbracciò l’AK 47, l’onnipresente Kalashnikov per difendere un simbolo, il palazzo presidenziale della Moneda, a Santiago. E vi morì, vittima della “ragione delle armi”, proprio lui che aveva sempre esaltato “le armi della ragione”. Allora l’imperialismo americano permise e favorì quel crimine. Oggi in Ucraina un altro imperialismo, quello russo, sta dando orribile prova di sè. Il nostro augurio, e quello di tutti i costruttori di pace, è che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sopravviva e continui a guidare il suo popolo. (daniele distefano)