“Anche noi giocoforza ritireremo l’inviato dalla Russia. Le norme sono talmente punitive che non si può fare nulla”. Così il direttore del Tg5, Clemente Mimun, annuncia all’Adnkronos il ritiro dell’inviato della testata in Russia dopo l’approvazione da parte della Duma, il parlamento di Mosca, di una legge che prevede il carcere per chi diffonde notizie sulla guerra ritenute “false” dal governo russo. Una decisione che è stata presa ieri dalla Bbc e oggi anche dalla Rai, che ha sospeso i servizi giornalistici dalla Russia. “Per lavorare in Russia i giornalisti devono avere un permesso. Io non ho corrispondenti ma un inviato ancora senza permesso. Adesso però, costretti da queste nuove regole, lo faremo tornare”. “La Russia sta perdendo su più fronti – aggiunge il direttore del Tg5 – perché sul terreno in Ucraina sta incontrando più difficoltà di quanto immaginasse, sul piano economico ha già perso 300 miliardi di euro, e su quello dei media Putin, che non è uno sprovveduto, sa quanto conti l’informazione e quindi pone limitazioni.
Io credo che alla fine di questa guerra il Tribunale dei diritti umani avrà molto da lavorare e credo pure che non tutti i russi sappiano quello che il loro governo sta combinando. Del resto, anche in Ucraina le cose non vanno diversamente per i giornalisti: gli ucraini – spiega – sono sospettosi perché temono le spie russe, e i soldati russi non vanno molto per il sottile con i reporter. Dopo gli anni di Mani Pulite in cui la notorietà era legata alla quantità di verbali che si ricevevano dalla Procura, e dopo il Covid che veniva raccontato attraverso le conferenze stampa e la politica vaccinale, adesso – conclude Mimun – con la guerra l’attenzione si focalizza sul racconto degli inviati, che però si fa sempre più difficile, quando non impossibile, con le limitazioni russe”.