Ha scelto, la Cgil di Ragusa, per ricordare l’8 marzo, Giornata internazionale delle donne, una riflessione sull’applicazione della Legge 194, quella sulla interruzione volontaria della gravidanza, che secondo il segretario generale del sindacato ragusano, Peppe Scifo, avviene “tra difficoltà e pregiudizi mentre il rischio a pratiche illegali e pericolose è diventato alto”. Scifo osserva “a distanza di quasi 44 anni, l’aborto continua a essere un tema di scontro ideologico. Al tormento di una scelta comunque dolorosa, un ulteriore carico di sofferenza viene imposto alle donne: la impossibilità di trovare risposta ed adeguata tutela nel sistema sanitario pubblico. Il 2022 segna il ritorno a pratiche clandestine e fai da te, determinando di fatto un arretramento nel campo delle conquiste delle donne e della società in generale. Già nel 2016 il Comitato Europeo dei Diritti Sociali, organismo del Consiglio d’Europa ha stabilito (su ricorso presentato dalla Cgil) che l’Italia «viola il diritto alla salute delle donne» che vogliono abortire e che devono scontrarsi con «notevoli difficoltà».
Il segretario della Cgil di Ragusa prosegue “alle carenze di un sistema sanitario pubblico già inadeguato nelle diverse articolazioni ospedaliere e nelle strutture della medicina territoriale, a rendere impraticabile l’applicazione di questa Legge si aggiunge l’elevato numero di obiettori di coscienza tra gli operatori sanitari. Pur riconoscendo che l’obiezione di coscienza è senz’altro un diritto individuale, al pari del diritto di autodeterminazione della donna, l’esercizio dello stesso non può trasformarsi in una abrogazione di fatto della norma. Chiudere le porte di ospedali, destrutturare i consultori svuotandoli della funzione storica di organismo diffuso sul territorio, priva le donne del supporto psicologico, fisico e logistico, rendendo inapplicabile l’esercizio del loro diritto sancito dalla legge. Inoltre, la numerosa presenza di donne straniere nella provincia di Ragusa, pone una ulteriore assunzione di responsabilità nell’organizzazione delle strutture del sistema sanitario pubblico. Le difficoltà di interfacciarsi con i nostri sistemi pubblici di servizi sociali e sanitari, aggiunte alle differenze culturali e alle difficoltà linguistiche, amplificano, per queste donne, il rischio di ricorso a pratiche pericolose e illegali. I dati sulla mancata applicazione della L. 194 a livello nazionale sono allarmanti e si attestano attorno all’80% per tutte le categorie professionali (ginecologi, anestesisti, personale non medico); la Sicilia è purtroppo più che in linea con il trend nazionale, al punto che esistono realtà con il 100% di obiettori!
La pandemia ha aggravato il quadro generale: molte strutture hanno deciso in autonomia di interrompere il servizio IVG, altre di ridurre il numero di interventi settimanali compresa la sospensione delle procedure di IVG farmacologica: nei tempi di crisi a pagare di più sono sempre le donne; non soltanto il lockdown ha visto l’aumento dei casi di violenza domestica, ma anche le porte sbarrate dei reparti ginecologia” Poi Scifo conclude “oggi si parla di medicina di genere in relazione alle specifiche patologie che colpiscono le donne nel campo della prevenzione, ma le donne si vedono ancora negare diritti fondamentali già acquisiti a seguito di lotte di civiltà e che diventano inattuabili e non fruibili. Una grave contraddizione di ‘sistema’ che non può essere sottaciuta, perché l’interruzione volontaria di gravidanza in piena sicurezza si innesta nell’ambito della fruizione del diritto costituzionale alla salute e la libertà di scelta delle donne”. (da.di.)