E’, la questione del parco eolico off shore al largo della costa iblea, uno di quei dilemmi da cui è difficile uscire e su cui è difficile prendere posizione obiettiva, in quanto prevalgono opinioni di principio, o si è favorevoli o si è contrati, insomma a dirla con i latini ‘tertium non datur’. E non è manco questione di schieramenti politici ed ideologici, la sinistra è contraria e la destra è favorevole, o viceversa. Se poi uno dei principali attori dell’ambientalismo italiana e, in questo caso, siciliano, ovvero Legambiente, si dichiara favorevole, tutto diventa molto difficile. Infatti Legambiente Sicilia, seguita da quella di Ragusa, si è dichiarata decisamente a favore della realizzazione del parco eolico in mare e dall’altra parte, quella degli oppositori, Nello Dipasquale, deputato regionale Pd, assume la difesa di chi è contrario.
Entrambi lo fanno con lunghi documenti ricchi da ambedue le parti di motivate argomentazioni. Cercheremo di sintetizzarle. Legambiente premette “gli impianti eolici offshore sono fondamentali nel percorso per la decarbonizzazione e per la transizione energetica. Le barricate alzate in alcuni territori contro questi progetti non faranno altro che ostacolare un percorso giusto e necessario”. Poi entra nel dettaglio. “Nel contesto del surriscaldamento globale, l’energia eolica, soprattutto con i nuovi parchi offshore, giocherà un ruolo trainante per tutte le rinnovabili: in Sicilia da questa fonte si producono già 3.393,9 GWh di energia elettrica, il 20% del totale regionale e il 55% di tutta l’energia pulita siciliana (dati TERNA 2021), e la potenzialità è di 4700 GWh con una stima di 6765 occupati al 2030 (fonte ANEV); secondo il PNIEC, poi, l’eolico dovrà contribuire con 41,5 Twh al fabbisogno nazionale al 2030.
Eppure, nonostante queste evidenze c’è chi annuncia le barricate contro gli impianti eolici offshore di fronte la costa iblea al di fuori delle acque territoriali ad una distanza tra i 25 e i 45 km, per supposti danni paesaggistici o alla pesca. Anche personalità che da sempre hanno contrastato i piani paesaggistici e alle quali non ha dato mai fastidio la piattaforma Vega A con la petroliera serbatoio Leonis ancorata a 22 km dalla costa con tutti i rischi di inquinamento del mare. I 214 aerogeneratori previsti nel canale di Sicilia tra isola delle Correnti e Scicli produrranno ogni anno una quantità di energia elettrica pari a quella necessaria all’intera regione, sia alle famiglie che a tutte le attività produttive, contribuendo a ridurre le emissioni di CO2 e la dipendenza energetica dall’estero.
Secondo Legambiente, è invece giusto vigilare perché i progetti proposti siano credibili e siano fatti bene, dopo una adeguata e partecipata procedura di valutazione, nel rispetto di tutti fattori ambientali, ponendo anche la giusta attenzione alle misure compensative verso le comunità locali; piuttosto che contributi in denaro ai comuni sul modello delle royalties, andrebbero privilegiate altre forme di intervento da parte delle imprese dell’offshore eolico, come la partecipazione ed il cofinanziamento di comunità energetiche rinnovabili nei comuni attraversati dai cavidotti terrestri, la fornitura di idrogeno verde per i convogli ferroviari operanti sulle linee idonee, o la partecipazione alla trasformazione del parco mezzi del trasporto pubblico locale con veicoli 100% elettrici”. Questa dunque la posizione di Legambiente.
Alla quale Nello Dipasquale, peraltro presidente dell’intergruppo ARS sui cambiamenti climatici, da lui stesso fortemente voluto, muove le proprie obiezioni. ”Rispetto la posizione di Legambiente, ma le perplessità che mi hanno spinto a essere critico sulla realizzazione degli impianti eolici offshore intorno alla Sicilia, con particolare riferimento al mega impianto al largo delle Egadi e quelli davanti alle coste Ragusane, rimangono ancora senza risposta. Per quanto riguarda i possibili danni al settore della pesca, solo supposti secondo Legambiente, devo evidenziare che l’associazione ambientalista non può ignorare, ad esempio, che tutta l’area che dovrebbe ospitare ben cinque parchi eolici offshore davanti alla costa iblea, circa un milione di m², è proprio quella nella quale opera la nostra marineria, anche se si tratta di acque internazionali. Sa bene Legambiente che lì dove ci sono gli impianti eolici, che prevederanno delle fasce di rispetto, saranno interdetti l’esercizio della pesca e la navigazione.
E questo è solo uno dei problemi sul quale, tuttavia, posso comprendere il disinteresse di Legambiente. Rimangono pure tutte le altre perplessità. Per esempio: ancora a oggi non si capisce quali siano gli enormi benefici per le imprese e i cittadini siciliani. Abbiamo posto con forza questo interrogativo e nessuno è stato in grado di rispondere. Altro tema che abbiamo posto al centro del dibattito riguarda, invece, ciò che accadrà tra trent’anni, alla scadenza delle concessioni: le aziende che intendono realizzare questi impianti, sulla carta, sarebbero obbligate anche a dismetterli e smaltirli correttamente. Il nostro timore, purtroppo ben motivato, è che tra tre decenni, dopo che le società avranno avuto la loro vita, fatta di ingenti profitti, acquisizioni e scissioni, fallimenti e quant’altro è possibile che accada in tale orizzonte temporale, non saranno realmente in grado di adempiere a quest’obbligo. Quali garanzie abbiamo oggi o rischiamo seriamente di trovarci il mare pieno di relitti galleggianti in acque internazionali dove ogni Stato si rimpallerà per altri decenni le responsabilità di toglierli e smaltirli con costi non indifferenti. Come mai a queste imprese non viene chiesta oggi alcuna fideiussione per impegnare delle somme a garanzia della futura salute ambientale delle nostre acque? Voglio ricordare che un impianto eolico, per funzionare, deve contenere nelle turbine un’enorme quantità d’olio per ridurre al minimo l’attrito. Siamo sicuri che qualcuno si occuperà di togliere dal mare queste strutture che, se non trattate adeguatamente, potrebbero diventare bombe ecologiche? Questo è un tema sul quale, secondo me, bisogna interrogarsi seriamente e con coscienza prima di andare avanti. Poi c’è un’altra questione: la scelta dei luoghi in cui realizzare gli impianti. Su questo bisogna mettersi d’accordo: ci sono circa 30 pratiche di connessione alla rete Terna per impianti offshore intorno alla Sicilia (secondo Terna una davanti alla costa di Catania, 11 davanti alla costa da Licata a Pachino, 18 nella zona del trapanese). Si sta scegliendo di circondare l’Isola di pale eoliche e si chiede, dunque, alla Sicilia di dare il proprio contributo alla causa della decarbonizzazione.
Siamo d’accordo, ovviamente, ma è necessario che tutte le altre regioni d’Italia con accesso al mare contribuiscano allo stesso modo e senza ripetere gli errori del passato che ancora sono visibili sulle nostre coste. Comprendiamo tutto e tutti: il riscaldamento globale, i cambiamenti climatici, i sacrifici che ogni territorio deve fare; capiamo le potenzialità, l’enorme indotto e la capacità di generare risorse in termini di posti di lavoro, occasioni occupazionali perfino per gli studi scientifici e ambientali cari agli addetti ai lavori, però… Però la Sicilia non si può più permettere di dire sì incondizionatamente a tutto a occhi chiusi. Anche all’epoca di Priolo, Gela e Milazzo ci fu detto che i siciliani avrebbero avuto enormi benefici dal punto di vista del lavoro. Sappiamo tutti com’è andata. Quindi sì all’eolico offshore, ma prima, almeno per me, servono risposte chiare e serie su temi concreti”. (da.di.)