“Ragusa, e con essa il Sud Est, mostra un buon grado legato alla produzione di ricchezza per i propri cittadini. La prima in Sicilia negli indicatori socioeconomici e non solo per il Pil ma anche per il lavoro, il contesto sociale, la finanza. “Trastullarsi” con la favola dell’isola nell’isola (parlo per il tutto il territorio degli Iblei) è ormai “non credibile”. Infatti, gli indicatori classificano la nostra realtà nella parte più bassa fra i 110 territori italiani”.
E’ quanto afferma il consigliere nazionale Fnaarc Confcommercio Roberto Sica. Il quale aggiunge: “Come mostrano alcune ricerche recentissime (Svimez/Scienze politiche Università di Catania) non mancano le risorse per gli investimenti (pubblici/privati) e una grande capacità di resilienza delle imprese per stare sul mercato con grandi potenzialità inespresse. Viviamo in una terra baciata dalla fortuna per i residenti e per chi ci viene a trovare (qualcuno rimane per sempre), offriamo uno dei modelli della qualità della vita fra i più elevati al mondo basati su biodiversità e salute. Questo quadro assolutamente ideale – appena accennato – porterebbe ad essere ottimisti; e lo siamo. Ma perché allora non ne incassiamo anche i benefici economici?! Perché non facciamo abbastanza per ricambiare questa fortuna “immeritata”… se continuiamo a sprecarla? Siamo il cuore del Mediterraneo ma manca la valorizzazione di questa posizione sicuramente (lo dimostra la Svimez con l’università di Catania, facoltà di Scienze politiche in una recente ricerca presentata a maggio) per la mancanza di economia di scala che vede una competizione fra singoli territori (localismo) invece che realizzare politiche di creazione del valore dalle infrastrutture esistenti e, soprattutto, da realizzare che portino ad uno sviluppo strutturale di tutta la Sicilia (oltre che di Ragusa e del Sud Est).
Quindi, se siamo immersi in una delle regioni fra le più povere della Ue questo accade perché frutto di scelte “sbagliate” di cui noi tutti siamo responsabili. Naturalmente richiamando le analisi, le stesse mostrano come le nostre classi dirigenti non hanno la capacità di colmare il divario perché i responsabili del cambiamento, le istituzioni, non hanno alcun interesse a farlo perché vogliono perpetrare “L’estrazione di rendite”. La Sicilia (Ragusa) soffre la mancanza di infrastrutture materiali ed immateriali (l’insularità costa mediamente l’8% del Pil e questo prezzo è ancora più salato per Ragusa); la sua capacità produttiva è debole e obsoleta. Ma le sue risorse naturali e culturali sono incommensurabili: perciò la sua economia (come quella del Mezzogiorno) è stata mantenuta piccola. Lo dico con le parole del prof. Carlo Trigilia: “Si è preferita la tendenza a favorire trasferimenti diretti e incentivi alle singole imprese, anziché progetti infrastrutturali più generali che potrebbero avere un impatto decisivo sullo sviluppo”. Ciò ha contribuito a preservare il potere delle élite politiche locali. Non c’è incentivo alcuno a cambiare con il risultato che questo equilibrio produce uno scarso rendimento economico”.
“Qui il paradosso dello “sviluppo locale” di cui Ragusa – continua Sica – il Sud Est è un esempio da manuale: tanti fondi (microinterventi) e poche idee strategiche hanno sviluppato l’iperlocalismo; i mancati e sbagliati investimenti in infrastrutture – senza i quali è impossibile convergenza e sviluppo – e la gestione attuale quasi fallimentare delle risorse disponibili (porti-aeroporti, infrastrutture della mobilità, ecc.), hanno alimentato clientele molte volte autoreferenziali. L’occasione di oggi dimostra che l’unico modo per uscire da questo “loop” è di rompere l’equilibrio e cambiare; combattere ogni clientelismo e riprendere in mano ciò che è nostro. Una prospettiva economica nuova deve riattivare una “chimica dello sviluppo”, una volontà sociale forte, visibile e coinvolgente capace di materializzarsi in comportamenti collettivi ad alto impatto. Da tempo nella nostra comunità prevale un appagamento sociale a bassa tensione che ci fa vivere una dimensione localistica senza rischio – in letteratura sociologica denominata “Localismo Felix”.
Sostanziare una strategia complessiva che valorizzi le nostre potenzialità che ha un’alta dotazione; occorre un nuovo “Patto del territorio” che inchiodi alle responsabilità delle decisioni la nostra classe dirigente tutta, che possa analizzare la situazione attuale – sfrondandone le negatività – e far ripartire – riqualificando gli investimenti soprattutto pubblici e rilanciando quelli privati in una visione di bene collettivo. Gli aeroporti sono una delle chiavi di volta di facile approccio per invertire la rotta; in particolare per Comiso, se continua la gestione fallimentare da quando è in esercizio, porterà ad uno spreco incredibile ma è anche un’opportunità da cogliere subito. Occorre quindi un “Patto” che rilanci la competitività di Ragusa e di tutto il Sud Est della Sicilia. Per questo è necessario aprire un contradditorio (quindi non una voce univoca) che entri nell’analisi dello stato dell’arte per arrivare a soluzioni nel breve, medio e lungo periodo. Bisogna intervenire con urgenza, il tempo delle attese è finito”.