Il libro di Giovanni De Luna esamina la produzione cinematografica di tutto il secolo scorso e oltre, con l’ambizione di essere una enciclopedia dei film italiani che hanno formato, orientato o anche studiato gli italiani del XX secolo.
Il cinema come strumento per raccontare la storia degli italiani, o anche come documento per conoscerla o infine come agente di storia. Si può tranquillamente osservare come molti film mettano in scena il passato e trasformano il cinema da strumento per raccontare la storia in documento per conoscere la storia. Da alcuni Film si può ricavare un vero e proprio museo dei gesti, dei comportamenti, degli oggetti, delle strutture e delle organizzazioni sociali. Il film viene usato come mezzo per indagare il funzionamento nascosto di una società.
E’ difficile immaginare, dice l’autore, la generazione del 68 senza “Fragole e sangue cosi come è impossibile pensare a “La battaglia di Algeri” solo come a un film, prescindendo dai tumulti che ne accompagnarono la proiezione, il divieto della sua programmazione in Francia, l’influenza che fu in grado di esercitare sui gruppi della lotta armata come le pantere nere statunitensi. Con l’affievolirsi della capacità della politica, delle istituzioni e dello Stato di perimetrare territori e definire appartenenze, è stato proprio il cinema come agente di storia a proporsi con forza inusitata come uno dei grandi costruttori di identità e di memoria, giovandosi della sua capacità di rispecchiamento, della sua rappresentatività, rispetto all’insieme di una società.
“Terra e libertà” di Ken Loach e “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana sono gli esempi più concreti che definiscono compiutamente il riferimento metodologico del rapporto fra cinema e storia ovvero fonte per la conoscenza storica, strumento per raccontare il passato, agente di storia. Tutto questo al di là della loro comprovata qualità artistica.
“Noi credevamo” di Mario Martone del 2010 racconta il nostro Risorgimento, sull’identità italiana peraltro in un periodo dove la pressione esercitata dalla Lega di Bossi faceva emergere scricchiolii su una opinione pubblica disorientata e confusa con tutti quei fermenti particolaristici e posizioni etnocentriche vissute come il principio di una inevitabile dissoluzione. Certo a “fare gli italiani” hanno contribuito tanti altri fattori come ad esempio il mercato con l’espansione dei consumi, il boom economico, la grande fabbrica fordista e soprattutto i mezzi di comunicazione di massa, radio cinema televisione e adesso il web.
Il cinema ha attraversato tutte le fasi novecentesche con “La presa di Roma” del 1905 di Filoteo Alberini che avvia il percorso di fare gli italiani a “il portaborse” del 1991 che lo chiude. L’autore ci fa osservare che il libro non si propone di sviluppare la storia del cinema nel suo insieme, magari un’analisi alla Gian Piero Brunetta, ma di come il cinema ha interagito e influito sulla storia d’Italia. Esempi ne sono “1860. I mille di Garibaldi” del 1934 di Alessandro Blasetti, “Paisà” del 1946 di Roberto Rossellini o “il ladro dei bambini” del 1992 di Gianni Amelio.
Attraverso i film gli italiani hanno imparato a conoscere lo spazio di relazione della parentela e del vicinato con quello più vasto della cittadinanza, l’identità nazionale, l’uso dei dialetti regionali, i paesaggi, i luoghi delle città e delle campagne. Il neorealismo è stato in particolare una esplorazione su larga scala del paese: dai villaggi alpini, ai paeselli del Lazio, ai castelli medievali del Piemonte, alle rovine dei templi classici della magna Grecia, ai cavatori di marmo delle Alpi Apuane ai solfatari della Sicilia.
Non starò qui a menzionare le numerose citazioni che il libro ci propone nel corso della sua lettura. Mi voglio però soffermare , così come propone l’autore, su “La meglio gioventù” del 2003 di Marco Tullio Giordana. Un approccio fortemente storicizzante nell’impianto narrativo prescelto, un uso della cronologia come principio ordinatore degli eventi che si susseguono in cinquant’anni, come una ricomposizione sapiente dei luoghi geografici che compongono l’Italia: Roma 1964 il boom economico; Venezia, Porto Marghera, l’inizio dell’inquinamento ambientale di tutta la zona del Petrolchimico;Firenze,1966, l’anno dell’alluvione e degli angeli del fango; Torino 1970, gli scontri di piazza , e nel 1980 la crisi della Fiat e gli operai in cassa integrazione; Palermo 1991, l’attentato al giudice Falcone e la sua uccisione l’anno successivo; Stromboli,2002 il fascino del ritorno alla natura. La narrazione del film vive attraverso le due opzioni di due linee strettamente intrecciate dei due fratelli sino a smarrirsi fra regola e trasgressione, con le regole che prevalgono.
Tutto il libro gronda di omaggi e di citazioni: da Fellini a Rossellini, da Bergman a Truffaut, da Douglas Sirk a Pasolini. Più vicino a Visconti – Rocco e i suoi fratelli – che a Scola – la famiglia- più a Francesco Rosi da cui eredita la capacità di intrecciare scenari epocali e destini individuali.
Il racconto di Giordana è affollato da italiani che rispettano le code, credono nella scuola e sanità pubbliche, hanno uno spiccato senso civico, si mantengono civili anche negli affanni di una vita privata sottoposta a prove durissime. Un Italia di minoranza, raccontata mentre dilagava “l’Italia del bere” di Jerry Calà e Christian De Sica, quella che, a suo tempo, gli scrittori del “Mondo” avevano chiamato “L’Italia alle vongole”.
La centralità della giovinezza per leggere storicamente il 68 è rappresentata dal grande evento che si tenne a Woodstock nell’agosto del 1969. Una comunità giovanile si riconosceva solamente in se’ stessa, un universo di incontaminata purezza, popolato da canti e fiori, la prefigurazione di una società alternativa lontana da guerre e massacri. Un immenso prato dove si discuteva di politica, si allacciavano relazioni sentimentali, si ballava, si consumavano le prime droghe di gruppo.
I giovani protagonisti di “La meglio gioventù” propongono una loro giovinezza segnata dall’impegno del fare piuttosto che dal pensare. I libri di ricordi sono dei piccoli monumenti, monopolio dei leader o di quelli che diventarono terroristi. Ma questa realtà piena di eccessi, compiaciuta o sofferta ma sempre autoriferita, per essere raccontata con il distacco necessario per renderla percepibile, trasmissibile, e forse, compiutamente storicizzabile.
Il libro di Giovanni De Luna ci accompagna con innumerevoli altre considerazioni e citazioni di film che, per chi ama il cinema e la sua storia è indispensabile conoscere.