Questo weekend la Sicilia ospiterà la scrittrice francese Françoise Duperray per un breve tour di presentazioni del suo primo romanzo, Nel cuore delle onde. L’abbiamo raggiunta telefonicamente per una breve intervista. A fine 2017 è uscito in Francia il tuo primo romanzo, Dans le souffle des vagues, che adesso, con il titolo Nel cuore delle onde, uscirà in Italia per i tipi di Operaincerta. Perché hai deciso di raccontare questa storia?
La storia è quella di mia madre, che negli anni ottanta ha deciso di venire a vivere a Ragusa per seguire l’uomo che amava. Dopo la morte di suo marito, mia madre, malata di Parkinson da diversi anni, si è ritrovata sola in Sicilia e noi (le sue quattro figlie) l’abbiamo convinta a tornare in Francia. Lo stato avanzato della sua malattia, insieme ai nostri impegni professionali, non ci ha permesso di accoglierla in casa. Alla fine, abbiamo trovato una casa di cura nel Beaujolais, vicino a Lione. Ci siamo alternate per andare a trovarla e passare più tempo possibile con lei. Negli ultimi mesi della sua vita, quando andavo a trovarla, spesso mia madre aveva bisogno di riposare e io andavo a fare una passeggiata in un parco adiacente alla casa di riposo. In quei momenti, non avevo la forza di lavorare e, sentendo che era la fine della vita di mia madre e quindi anche della storia della nostra famiglia legata alla Sicilia, ho iniziato a scrivere sul mio cellulare i ricordi dei quarant’anni trascorsi in Sicilia, a Ragusa e nella provincia di Ragusa. I ricordi mi riaffioravano in modo disordinato e riflettevo sul fatto che, durante tutta la sua vita e quella delle sue figlie, c’era stato un continuo andirivieni tra le due città e i due paesi. Dopo la morte di nostra madre, ho riletto questi testi e vi ho visto subito una struttura e una logica. Alla storia di mia madre si collegavano quella del mio compagno franco-tunisino, la cui immigrazione in Francia non era stata del tutto una scelta né una necessità, e quella di molti siriani scacciati dalle loro terre a causa della guerra. Tutti questi pensieri mi rimbombavano in testa, richiamando anche la situazione di allora, che vedeva i migranti arrivare a frotte in Sicilia. La storia di mia madre e la storia millenaria della Sicilia divennero quindi le storie emblematiche che si trovano all’intento del mio racconto. Raccontare la scelta di mia madre significava raccontare la Sicilia, terra di migrazioni fin dall’antichità.
Nel libro racconti la storia di Hélène, una donna che per amore decide di venire a vivere in Sicilia, nello specifico a Ragusa. Quanto c’è di autobiografico nel tuo romanzo?
Questo romanzo è una sorta di rêverie immaginaria a partire dai dettagli, dagli eventi e dai dialoghi molto realistici. Tutto ciò che riguarda la conoscenza di Gianmaria, il marito di Hélène, la partenza di quest’ultima per la Sicilia, la fuga di sua figlia Elise, la scoperta della Sicilia, di Ragusa, della famiglia di Gianmaria, le estati in Sicilia, le persone che si prendevano cura di lei e di suo marito, l’ultima estate prima della sua partenza definitiva… tutto questo è autobiografico, anche se, a volte, le date e gli eventi non sono rispettati o le situazioni sono amplificate. Lo stesso vale per i momenti che precedono la partenza di Hélène per la Francia con la famiglia marocchina che si trasferisce a casa sua: i dialoghi sono immaginati, ma la situazione, in generale, è stata realmente così come viene descritta. Invece, la storia dei rifugiati siriani a Lione e l’ultimo flirt tra Hélène e Saïd sono puramente inventati, anche se i personaggi sono esistiti e sono rappresentati come li ho conosciuti o, per quanto riguarda il padre di Farid, il compagno di Élise, così come quest’ultimo me ne ha parlato. Nella mia tristezza (e delle mie sorelle) nel vedere nostra madre prigioniera di questa lenta agonia, la scrittura mi ha permesso di immaginare una realtà più bella, più sopportabile. Così è nata la scena finale in cui madre e figlia vanno a fare un ultimo bagno nel mare.
La storia principale raccontata è quella di Hélène, ma nel libro c’è anche Élise, la sua ricerca di libertà e la scoperta di un mondo, di una cultura nuova, quella siciliana. A proposito di culture, tra le pagine di Nel cuore delle onde si parla anche di immigrazione, di culture che si fondono, o che almeno ci provano.
Perché hai scelto di inserire anche questo tema?
Quando mia madre ha deciso di trasferirsi a Ragusa con l’uomo che amava e di accoglierci durante le vacanze, non mi rendevo conto che arrivavamo in un paese che non era il nostro. Ci divertivamo con le abitudini dei siciliani che si divertivano con le nostre; quanto a mia madre, esprimeva la sua difficoltà nel recitare il ruolo della mamma siciliana, ma non ci feci molto caso. In fondo, non era veramente un problema. Eravamo benvenuti in Sicilia. Più tardi, quando ho incontrato il mio attuale compagno, ho scoperto poco a poco cosa potessero essere il razzismo, la xenofobia, a tutti i livelli della società, e questo rifiuto degli altri, questa fantasia di un’identità chiusa, ripiegata sul solo radicamento in una terra.
Certo, non era una novità; certo, esisteva anche in Italia, soprattutto nei confronti degli italiani del sud. Ma il fatto che scegliere o essere costretti a vivere in un altro paese che non è il proprio non fosse mai una cosa ovvia l’ho compreso solo più tardi. Le ultime volte che sono venuta in Sicilia, sono stata colpita dalla presenza degli immigrati, soprattutto sulla costa. Il tema della partenza l’ho sentito forte dentro di me: vedevo i miei genitori partire (dalla vita, dalla mia vita) e vedevo i migranti arrivare sulle coste della Sicilia, soprattutto a Pozzallo, dove il mio patrigno prendeva la nave per soggiornare a Malta, dove un tempo andavamo a mangiare il pesce fresco nelle sere d’estate. Vedevo la generazione che mi aveva accolto scomparire e quella nuova affermare a volte il suo rifiuto degli altri, questo flusso di migranti che, in più, avrebbe costituito una manodopera a basso costo in settori abbandonati dai giovani siciliani. Continuo a pensare che la libertà sia poter vivere su questa terra dove si vuole, a condizione di non fare del male agli altri, di rispettare le tradizioni e le credenze degli autoctoni, ma ciò è sempre meno possibile. I tempi tendono troppo all’odio, al rifiuto degli altri, in Francia come, credo, anche in Italia. Mi sento in sintonia con i generosi, gli accoglienti, i gioiosi.
Nel cuore delle onde sarà presentato giovedì 10 ottobre, alle ore 18:30, alla Biblioteca Comunale di Santa Croce Camerina, ospite della locale sezione di UNITRE, il giorno dopo a Ragusa, sempre alle ore 18:30, presso la libreria Ubik-Paolino, e sabato 12, alle ore 19:00, allo Spazio San Sebastiano di Palazzolo Acreide.
Françoise Duperray è nata a Lione (Francia), ha studiato filosofia, disciplina che ha insegnato prima al liceo e poi nelle classi preparatorie alle grandi scuole di commercio e management insieme alla cultura generale. Si è inoltre formata in educazione somatica con il metodo Feldenkrais. Dopo questo romanzo ha pubblicato una raccolta di racconti, non ancora usciti in Italia, dal titolo Les clandestins.