Ragusa – La deposizione della lapide in memoria del giornalista Giovanni Spampinato, avvenuto lo scorso 27 ottobe nel 49simo anniversario del suo assassinio, e una intervista al sindaco Peppe Cassì da parte del giornalista Angelo Di Natale, direttore di ‘In Sicilia Report’, hanno riproposto anche a Ragusa il dibattito sulla opportunità di rivedere la toponomastica cittadina, per evitare che continuino ad esserci strade intitolate, come si legge nell’articolo di ‘In Sicilia report’ a figure il cui nome, ‘imbucato’ da qualcuno per motivi di affezione familiare o legame d’interessi particolari, non è stato sottoposto al vaglio richiesto o è stato ammesso per benevolenza nei confronti dei proponenti, a fronte di meriti nulli o carenti rispetto all’importanza dell’atto che impegna le istituzioni e interpella gli esempi e le esperienze più alte della civiltà umana in una comunità, piccola o grande che sia.o addirittura a figure, luoghi, accadimenti, esperienze, eventi che stridono in modo bruciante con i valori condivisi – civili, culturali, politici, sociali – e consistenti nei principi essenziali della Costituzione italiana, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Dichiarazione universale dei diritti umani.
A mo’ di esempio, il giornale citato riporta alcuni casi ragusani “via Napoleone Colajanni incrocia via Filippo Anfuso, e via Giovanni Falcone si collega da una parte con le vie Giovanni Spampinato e Giuseppe Impastato e dall’altra con via Giorgio Almirante, rastrellatore di partigiani per conto dei nazisti al tempo della Rsi e già segretario di redazione della rivista del regime fascista La Razza che teorizzava ed esaltava la necessità delle persecuzioni poi sfociate nella ‘soluzione finale’. Ed è ancora più noto che a Ragusa il ponte principale della città e un’importante via del centro portino il nome di Filippo Pennavaria il quale della strage di contadini in piazza San Giovanni durante un pacifico comizio socialista il 9 aprile 1921, così come di altri eccidi e della violenza politica scatenata in quegli anni in tutta l’area iblea, fu l’ispiratore e il responsabile almeno quanto Mussolini lo fu del delitto Matteotti e di tutti i crimini fascisti e degli assalti squadristici”.
Poi ‘In Sicilia Report’ afferma ancora “se, giustamente, non abbiamo una strada intitolata a Hitler, Stalin, Franco, Polpot, Mao, Kim Jong, Gheddafi, Pinochet, Bin Laden, ecc.. non è tollerabile che ve ne siano a Mussolini come a centinaia di altri nomi che in Italia, perfino nelle stesse città che li onorano, si sono macchiati di crimini ripugnanti, non esclusi l’omicidio e la strage”. Tornando all’intervista di Angelo Di Natale al sindaco Cassì, il giornalista ha affermato, rispondendo ai dubbi del primo cittadino, che “non si tratta di cancel culture, ma di qualcosa di molto più grave, netto e profondo che non c’è alcun motivo per non affrontare.Lo strumento amministrativo potrebbe essere quello di una Carta dei valori della toponomastica cittadina e di una commissione di altissimo profilo che, con criteri non burocratici ma di limpida ricerca storica, vigili sulla compatibilità a tale carta di ogni proposta comunale di intitolazione, e nel contempo operi una rilettura dell’esistente redigendo un documento contenente pareri, osservazioni, riflessioni sui criteri da seguire (anche al fine di dare una coerenza culturale all’intero patrimonio della toponomastica) e proposte specifiche per il superamento delle situazioni più aberranti”.
Cassì ha espresso dubbi sulla fattibilità di un simile progetto ma ha dichiarato disponibilità a riflettere e a valutare l’idea senza pregiudizi. Nell’ambito di questo importante dibattito culturale ricordiamo che nel febbraio di quest’anno, la rivista “Internazionale” aveva pubblicato un contributo del collettivo di scrittori Wu Ming 2 che aveva ricordato come il 19 febbraio si ricordassero gli 84 anni dal massacro di Addis Abeba “tra i tanti crimini del colonialismo italiano, uno dei più disgustosi e spietati, perché commesso lontano dai campi di battaglia, senza nemmeno l’alibi di una guerra in corso. Si trattò di un’immane rappresaglia, scattata in seguito all’attentato fallito contro il viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani. Esercito e camicie nere si riversarono in strada, non tanto per stanare e arrestare i due responsabili, quanto per terrorizzare e colpire in maniera indiscriminata i nuovi sudditi dell’Italia imperiale, colpevoli di essersi ribellati agli invasori. Oltre ai militi e ai fascisti organizzati, si lanciarono entusiasti nella caccia al nero anche operai, burocrati e impiegati coloniali.
Prigionieri e semplici passanti – colpevoli soltanto di essere africani – vennero uccisi a bastonate, a badilate, oppure pugnalati, fucilati, impiccati, investiti con automezzi, bruciati vivi nelle loro case”. Ricordando tale riste episodio, il Wu Ming 2 esortava ad un serio ripensamento sulla toponomastica delle città italiane, ricche di tali riferimenti ad un passato coloniale e proponeva se non un cambio di toponomastica, almeno l’aggunta alle targhe intitolative di maggiori notizie sul fatto cui ci si riferiva spiegando cosa fosse realmente avvenuto. A qnanto pare il dibattito non si è fermato e ci auguriamo che possa continuare perchè fare i conti con il proprio passato non può che fare bene a tutti noi. (daniele distefano)