Roma, 29 feb. – L'economia italiana rischia di pagare "un prezzo molto salato" con l'emergenza coronavirus. Secondo le valutazioni di Ref Ricerche, l'epidemia e soprattutto le misure adottate per contenerla causano nel breve termine un minor pil compreso tra 9 miliardi e 27, a seconda delle ipotesi adottate sull'entità delle perdite e dei guadagni nei diversi settori. La stima di Ref Ricerche considera l'impatto diretto della diffusione del virus nelle regioni italiane, con effetti immediati e di più lunga durata, a seconda del settore considerato. Si ricorda che Lombardia e Veneto, le due regioni dove maggiori sono stati i casi e più drastiche le misure di contenimento, contano per il 31% del pil italiano.
Aritmeticamente, una contrazione del 10% del pil in sole queste due regioni significa una diminuzione del 3% di quello per l'intero Paese. La flessione per l'intera economia stimata da Ref Ricerche va da un -1% a un -3%. Sono variazioni cumulate nel primo e nel secondo trimestre 2020. Infatti, la scoperta dei primi casi, le misure di contenimento e la diffusione della paura tra la popolazione sono avvenuti nell'ultima decade di febbraio e quindi incideranno solo su una parte del primo trimestre, mentre dispiegheranno appieno i loro effetti nel secondo. Questa stima si basa su una valutazione degli effetti sui singoli settori, raggruppati in quattro categorie in base al range di probabile variazione del rispettivo valore aggiunto e poi calcolando il peso di tali categorie sul pil totale.
Il primo gruppo comprende quei settori che vedono aumentare tra il 2% e il 6% la loro attività in conseguenza dell'epidemia virale (attività legate alla farmaceutica, alla cura della casa e i servizi connessi allo smart working e alle video conferenze); il suo peso è dell'8,5%. Il secondo gruppo è di gran lunga il più importante (vale il 54,6% dell'intera economia) e non patisce sostanziali variazioni di attività a causa del virus. Il terzo gruppo incide per il 25,1% e patisce una contrazione produttiva limitata (al più del 4%). Infine, c'è l'insieme dei settori che stanno subendo contraccolpi molto forti (tra -10% e -40%) ma che hanno un peso contenuto (11,7%; dalla filiera del turismo, a tutte le attività legate a centri di aggregazione).
A lanciare l'allarme anche la Cgia. "Se l'emergenza coronavirus dovesse diffondersi a dismisura in tutte le regioni del Nord e durasse qualche mese, come hanno ipotizzato molti esperti di virologia, il rischio che una buona parte dell'economia nazionale si fermi è alquanto probabile". Dall'Ufficio studi della Cgia segnalano che in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Liguria viene 'generata' la metà del Pil nazionale e del gettito fiscale che finisce nelle casse dell'erario; vi lavorano oltre 9 milioni di addetti occupati nelle imprese private (pari al 53 per cento del totale nazionale); da questi territori partono per l'estero i 2/3 delle esportazioni italiane e si concentra il 53 per cento circa degli investimenti fissi lordi.
Oltre alle misure urgenti che interessano le attività e i contribuenti che rientrano nei Comuni ubicati nella cosiddetta zona rossa, sottolinea la Cgia di Mestre, "è altresì necessario che l'ssecutivo metta a punto una misura strutturale che interessi tutta l'economia" e quindi in particolare rifinanziare Cigo e Cigs, ridare credito alle Pmi e fare in modo che la Pa paghi i suoi debiti. "Il danno di immagine provocato al nostro Paese dal coronavirus è alquanto pesante. Molti settori produttivi – segnala il coordinatore dell'Ufficio studi Paolo Zabeo – sono già allo stremo, per questo chiediamo al governo di approvare subito un intervento di medio-lungo termine che preveda il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e l'estensione degli stessi ai settori che oggi ne sono sprovvisti, si rafforzino le misure di accesso al credito delle Pmi e la Pubblica Amministrazione paghi tutti i debiti che ha contratto con i propri fornitori".