Firenze, 12 mar. – – di Paolo Martini. La scelta del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, durante un incontro all'estero, il 12 febbraio scorso, parlando in italiano, di pronunciare in pubblico il nome il termine 'coronavirus' all'inglese (quindi 'coronavairus') "resta discutibile e poco opportuna, ed è ascrivibile alla categoria di quello che i linguisti chiamano 'snobismo': avrà sentito pronunciare così da colleghi o esperti esteri, e l'ha ripetuto a sua volta in italiano". Lo afferma il professor Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca, in un testo dal titolo "In margine a un'epidemia: risvolti linguistici di un virus", pubblicato sul sito internet della stessa Accademia, secolare istituzione fiorentina incaricata di custodire la purezza della lingua italiana.
Commenta Marazzini: "La reazione dei giornali e della Rete è stata molto intensa, secondo lo stile dei media, con una buona dose di sbeffeggiamenti. Salvatore Sgroi, linguista controcorrente e libertario, è intervenuto a difesa: se coronavirus è un anglismo, non è un peccato mortale pronunciarne il nome all'inglese. La voce di questo linguista è stata forse l'unica che si è levata a difesa dell'uomo politico. Ho espresso subito all'amico Sgroi il mio consenso, perchè condivido perfettamente la sua difesa condotta contro chi magari dimentica che altre parole anglo-latine vengono comunemente anglicizzate, come mass-media pronunciato 'mass-midia', o Juventus stadium pronunciato 'Juventus stedium'".
Per il presidente dell'Accademia della Crusca, "di fatto, in tutto il mondo, chi usa l'inglese, non dice solo 'coronavairus” (pronuncia regolarmente registrata nell'Oxford dictionary), ma anche dice 'vairus' per 'virus'. Però in Italia la pronuncia 'vairus' non ha corso. Ciò significa che gli italiani, in questo caso, per fortuna, a differenza di quanto accadde per la scelta di 'stedium' e 'midia', non hanno avvertito virus e coronavirus come anglismi. Quindi non si tratta di scegliere come si vuole, ma di attenersi a un uso stabile, consolidato e dominante". "Del resto lo stesso Di Maio, dopo la campagna di stampa contro la sua pronuncia anglicizzante sembra aver cambiato strada. Credo abbia fatto bene a far così", conclude Marazzini.
L'Accademia della Crusca esprime poi "soddisfazione" per il ricorso all''uso di "lavoro agile" al posto dell'anglicismo "smart working". "Le conseguenze linguistiche di una crisi possono essere le più imprevedibili. Pur nel contesto tragico, una soddisfazione è giunta inattesa al gruppo Incipit, il nucleo di linguisti collegato alla Crusca impegnato nel suggerire equivalenti italiani delle parole straniere che rischiano di entrare nella comunicazione pubblica – spiega Marazzini sul sito internet dell'Accademia come riferisce l'AdnKronos – Una delle misure indicate come utili per contrastare l'epidemia è infatti il lavoro svolto da casa per via telematica, cioè quello che in inglese si chiama 'smart working', espressione che Incipit aveva suggerito di ribattezzare 'lavoro agile'".
"Nei vari interventi pubblici più recenti, le due denominazioni si stanno affrontando con alterne fortune, ma 'lavoro agile' pare reagire bene: è stato adoperato – rileva Marazzini – da parlanti qualificati e dotati di prestigio, e risulta assumere persino una posizione di vantaggio statistico sull'avversario inglese, a cui pure molti restano fanaticamente abbarbicati. La lotta senza quartiere al virus diventa anche il teatro della competizione tra queste due forme linguistiche".