Milano, 28 mar. – Un Paese che continua a produrre e a esportare: il coronavirus modifica il modello di impresa e torna a mettere in luce filiere talvolta in ombra in Italia. Lungo lo Stivale "sono rimaste circa 40 fabbriche a produrre cofani mortuari – 30 anni fa erano oltre 550 – e alcune hanno in catalogo più di cento modelli diversi", spiega all'Adnkronos Marco Ghirardotti, presidente di Assocofani di Federlegno, l'associazione che riunisce le più importanti aziende italiane di produzione di cofani ed accessori funebri che riforniscono le oltre 6000 imprese di onoranze che operano nella Penisola.
"Una notizia tendenziosa è che non c'è prodotto: attualmente ce n'è e anche in abbondanza, i magazzini delle nostre aziende sono pieni. Certo può trovarsi sfornito il piccolo impresario che si approvvigiona di casse cinesi da un distributore locale, invece la vera difficoltà che incontriamo è sulla logistica. Consegnare le bare diventa molto più complicato, stiamo fornendo il nostro prodotto allo stesso prezzo ma i trasportatori non si trovano ed i costi sono praticamente raddoppiati", ammette l'imprenditore che da 35 anni lavora nel settore. "Francia, Spagna e Germania non hanno più produttori nazionali strutturati e si riforniscono nei Paesi extra Ue e in questo momento hanno carenza di prodotto. Un grosso gruppo bresciano sarebbe pronto a spedire i prodotti anche in Spagna, oltre 400 casse potrebbero raggiungere in pochissimi giorni Madrid e Barcellona in caso di necessità".
"Le importazioni sono complicate attualmente e sta risalendo la fetta di prodotto italiano. Nel nostro Paese si contano circa 640mila decessi in un anno, negli ultimi 3-4 mesi la media era molto più bassa, ora con il coronavirus i numeri si sono moltiplicati. Oltre il 50% del nostro fabbisogno, circa 330mila pezzi, arrivano dall'estero il resto viene realizzato da aziende interne: le tre più grandi sono in provincia di Brescia, Verona e Perugia e da sole producono quasi la metà del prodotto italiano circolante", spiega Ghirardotti alla guida di un'azienda bresciana che realizza circa 5mila casse l'anno.
I numeri delle vittime non spaventano chi è abituato a trattare l'argomento ogni giorno, anche se i numeri cominciano a preoccupare. "A Brescia è un continuo via vai di ambulanze. Qui si sono superati i mille morti, ma nei magazzini dei nostri associati locali si contano oltre 12mila cofani disponibili, e in altre zone d'Italia ci sono magazzini di altre aziende produttrici attualmente riforniti, quindi non è questo il tema", dice Ghirardotti.
Per il presidente di Assocofani "le difficoltà riguardano invece il reperimento di alcuni materiali, come colle o vernici, ma soprattutto l'assenza per gli impresari delle pompe funebri dei dispositivi di protezione individuale, anche i più elementari, quali mascherine e tute visto che vengono in contatto oltre che con le salme anche con i parenti della vittima. Tra gli addetti a Brescia c'è già stata una vittima ed altre due a Bergamo, si contano alcuni casi gravi e anche noi che interagiamo per lavoro con loro siamo preoccupati. Alcuni impresari si rifiutano di fare i funerali, alcune imprese quando sentono cosa accade a Brescia ci richiamano e ci chiedono di non andare a consegnare", racconta.
Un dramma umano dalle ripercussioni economiche. "Spesso le imprese di onoranze funebri sono piccole aziende che si ritrovano ora a dover fare i conti con un numero maggiore di funerali e dunque a dover anticipare spese superiori rispetto al solito. Se è giusto non lucrare sulle spalle di chi ha già perso una persona cara credo che il governo debba aiutare gli imprenditori: basterebbe che l'Inps creasse un fondo Covid-19 da destinare direttamente a chi ha sostenuto le spese funebri così da aiutare il settore e le famiglie", conclude Ghirardotti.